Farmacogenetica, in arrivo i farmaci ‘cuciti’ addosso al proprio dna
La variabilità nella risposta a un trattamento farmacologico tra paziente e paziente costituisce uno dei problemi più rilevanti nella pratica clinica: si possono, infatti, osservare in alcuni soggetti, rispetto ad altri, effetti terapeutici ridotti, se non assenti, reazioni avverse variabili, nonostante sia stato somministrato lo stesso farmaco, con la stessa posologia. Per questo motivo, da diversi anni, l’obiettivo della farmacologia moderna è, attraverso la farmacogenetica, quello di indirizzare le terapie esistenti verso quei pazienti che sono in grado di rispondere ad esse e sviluppare nuovi farmaci efficaci per i non responder, evidenziando la componente genetica di quelle persone che hanno necessità assistenziali insoddisfatte.
Questo tema di grande attualità, è stato presentato da Armando Genazzani, del dipartimento di Scienze del farmaco dell’università del Piemonte orientale, nel corso dei lavori della 36° edizione del congresso nazionale della Società italiana di farmacologia.
“Il fallimento di una terapia nei confronti di un paziente, riscontrato frequentemente nella pratica clinica – dichiara Genazzani – ha portato la comunità medico scientifica a interrogarsi da un lato sulle cause di questo fenomeno, dall’altro sulle implicazioni di quest’ultimo sia per la necessità di riuscire a dare, comunque, una risposta ai bisogni disattesi dei pazienti, sia per gli aspetti farmaco-economici derivanti dal costo di trattamenti che non funzionano”.
“Queste considerazioni, grazie alla nostra capacità di leggere il genoma in modo sempre più veloce ed economico – continua Genazzani – hanno portato alla conclusione che, parte delle differenze nella risposta ai trattamenti, fossero dovute al dna: sia quello del paziente che assume la terapia sia, se prendiamo come esempio le patologie oncologiche, quello delle cellule tumorali, estremamente instabile e soggetto a continue modifiche. La consapevolezza di avere come bersaglio le proteine mutate del dna e di fare un’ulteriore sottoclassificazione dei tipi di tumore, a seconda delle proprie mutazioni genetiche, ha portato la ricerca a comprendere che, se si riescono a individuare quali sono le mutazioni di un determinato tumore, possono essere somministrati farmaci indirizzati selettivamente per quelle stesse mutazioni a quei pazienti che sono maggiormente in grado di rispondere”.
In questo momento, sempre per quanto riguarda l’oncologia, le applicazioni più efficaci della medicina personalizzata, che riescono a colpire in modo selettivo la parte modificata di un dato tumore, riguardano vari tumori, quali quello renale, polmonare e il melanoma.
“Noi sappiamo – aggiunge Genazzani – che ci sono differenti risposte da parte degli individui a seconda delle loro differenze genetiche, ma tutto questo non è ancora stato codificato nella pratica clinica. Attualmente, infatti, la scelta del farmaco giusto avviene attraverso una procedura per tentativi ed errori, nel senso che si incomincia con un farmaco e se questo non funziona si cambia prescrizione, fino a trovare il trattamento adatto per quella persona.”
Il ricorso all’esecuzione di opportuni test genetici metterebbe il medico nella condizione di stabilire subito quale farmaco funzionerà in quel particolare paziente e prescrivere tempestivamente terapie più efficaci.
“La Sif – afferma Genazzani – segue molto da vicino queste tematiche, ha un proprio gruppo di lavoro coordinato oltre che dal sottoscritto, dal professor Emilio Clementi e dal professor Diego Fornasari e si occupa in modo specifico di diverse aree terapeutiche che vanno dalla terapia del dolore, alla neurologia, all’oncologia e alla terapia anti-virale”.