Giudice di Pavia dice no a Stamina
”Lo stato non può autorizzare sperimentazioni incerte”
Inutile il ricorso della famiglia, il giudice di Pavia ha detto no alla somministrazione del metodo Stamina nei confronti di un ragazzo di vent’anni affetto da una grave malattia neurogenerativa.
Il collegio dei giudici, in nome del principio di cautela in materia di cure mediche, avrebbe motivato la propria decisione sostenendo che “il paziente ha diritto a essere curato, ma lo Stato ha il dovere di tutelare i malati da sperimentazioni che non hanno certezze scientifiche“.
Inoltre, gli stessi giudici sostengono che c’è anche un problema di destinazione di risorse pubbliche, che dovrebbero andare solo a “terapie verificabili con metodi scientifici”. Il protocollo di Davide Vannoni, noto appunto come metodo Stamina, basato sull’uso di cellule staminali mesenchimali, non avrebbe secondo i giudici dati scientifici certi: “In nessun paese estero viene applicata la metodologia e la comunità scientifica si è pronunciata negativamente in modo pressoché unanime”.
Padre e madre del ragazzo si sono rivolti al metodo di Vannoni perché le diagnosi attuali dei medici, basate sulle cure tradizionali, non lasciano speranze di vita al ragazzo e, con questa motivazione, avevano già precedentemente impugnato un pronunciamento negativo della corte. Avevano quindi richiesto di sottoporre il figlio a sperimentazione agli Spedali civili di Brescia, dove il metodo è stato autorizzato all’unanimità – lo ricordiamo – dalla commissione Affari sociali con il solo paletto della sicurezza dei pazienti.
Del resto anche gli stessi tribunali italiani non sono affatto concordi: Genova e Parma avevano emesso sentenze opposte rispetto a quella di Pavia. Il ricorso dei malati e dei familiari ai tribunali è una prassi abbastanza comune per obbligare gli ospedali a concedere la cura nonostante le varie bocciature istituzionali: l’ultima è arrivata dal comitato scientifico del ministero della Sanità l’11 settembre scorso.