Anoressia, bulimia e fame compulsiva
Disturbi dell’alimentazione e sessualità
I disturbi del comportamento alimentare, le ultime tendenze e i nuovi approcci al trattamento, con una particolare attenzione verso i modelli esteri. Questo il fine del convegno internazionale che si è tenuto nel capoluogo siciliano nei giorni scorsi, dal titolo “International conference on eating disorders“, organizzato dal Centro disturbi alimentari (Cedial) in collaborazione con l’associazione Solaris, la cooperativa La Lucerna, la Regione Siciliana e l’Asp di Palermo.
Un incontro di esperienze che ha messo in evidenza tre priorità: “La necessità di una formazione e un aggiornamento continuo“, ha detto Lia Iacoponelli, dirigente psichiatrica e responsabile del Cedial. I disturbi del comportamento alimentare (dca) sono soggetti a continui cambiamenti, dovuti soprattutto a trasformazioni della società, dei regimi alimentari e degli stili di vita in generale.
“È emersa poi una seconda esigenza, quella di un confronto con i modelli di altri Paesi“, aggiunge Iacoponelli. E il convegno è stata una preziosa occasione per questo confronto, con la presentazione dell’esempio praghese, presentato da Hana Papezova, professoressa al dipartimento di Psichiatria dell’università di Praga, o la prospettiva di Johan Vanderlinden, docente all’università psichiatrica di Kortenberg in Belgio, che ha sottolineato i cambiamenti storici nel trattamento psicoterapeutico dei traumi.
“La terza priorità che è venuta a galla – conclude Iacoponelli – è quella di occuparci con più attenzione dei bambini, perché la maggior parte dei disturbi dei comportamenti alimentari affonda le radici nell’infanzia“. Inoltre, questi disturbi coinvolgono sempre più spesso i più piccoli. “Se in passato molti dca affioravano prevalentemente nella fascia tipicamente adolescenziale, oggi – ha detto Laura Dalla Ragione, responsabile del Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi – l’età di esordio si è abbassata verso gli 8-10 anni“, in particolare per quanto riguarda il fenomeno dilagante dell’obesità infantile. Per altro, “più precoce è l’esordio e maggiori sono i danni, alcuni dei quali irreversibili se non trattati per tempo”, ha affermato Vanderlinden. Agire tempestivamente, allora, diventa fondamentale.
Spesso si tratta di carenze affettive o mancanze della figura genitoriale, come ha messo bene in evidenza Matilde Vigneri, docente e presidente del Centro di psicoanalisi di Palermo, che ha correlato il comportamento alimentare con quello sessuale, entrambi tendenti a un disordine sempre maggiore a causa di alcuni mutamenti della società. Da una parte l’anoressia (rifiuto del cibo) e la bulimia (grandi abbuffate seguite da compensazione come vomito indotto, eccessivo esercizio fisico o purghe), che colpiscono tendenzialmente la popolazione femminile. L’origine sociale sarebbe da rintracciare nel movimento femminista, che in molti casi è degenerato in un rigetto del modello materno: le donne, cioè, per riscattarsi socialmente, hanno ricercato il proprio successo sul lavoro, rinunciando alla propria corporeità e sensualità, facendo mancare ai figli quell'”accudimento tattile” che aiuta a far crescere.
“Si è creato così un vuoto – afferma Vigneri – generando un io acorporeo, ascetico, come nel caso dell’anoressia, o un io pur sempre narcisistico ma in cui il cibo diventa cosa, oggetto da divorare, facendone perdere il valore simbolico e spirituale“: le emozioni diventano il nuovo tabù, segno di debolezza e dunque da rifiutare per farsi strada sulla scala sociale. L’adolescenza si è quindi allungata all’infinito, i “vecchi-ragazzi” vi rimangono prigionieri, senza mai trovare liberazione nella maturità. Il fenomeno, ripercuotendosi in almeno due generazioni successive, in questi ultimi anni si è aggravato ulteriormente.
“Simmetricamente – ha chiarito Vigneri, basandosi anche sulla sua esperienza di psicoanalista – si registra in questi ultimi anni un fenomeno in cui, per lo più, sono gli uomini a venire colpiti e che agisce però prevalentemente sulla sfera sessuale“. La maggior parte dei pazienti sono professionisti, docenti universitari e uomini d’affari, che raggiungono successo nella propria carriera ma che sono fallimentari sul piano familiare e sentimentale. Si portano dietro spesso carenze affettive dovute all’assenza della figura paterna, non tanto dal punto di vista fisico quanto piuttosto simbolico: in questi ultimi decenni è crollato il modello di padre, inteso come guida e punto di riferimento, pilastro di saggezza e di esperienza, ridotto anch’egli a un eterno adolescente a “caccia” di nuove esperienze: si è avuto anche qui un ‘vacuum‘, quello che in Oriente chiamano ‘void‘, un vuoto incolmabile che ha tranciato il filo di congiunzione maestro-allievo tra le generazioni e, al tempo stesso, la possibilità di evoluzione personale, “riducendo le persone a una popolazione di orfani, a una misera fratellanza”.
Tutto ciò si sarebbe tradotto in quella che Vigneri chiama “bulimia sessuale“, ovvero una spasmodica e mai soddisfatta ricerca di piacere fisico, una ‘fame’ compulsiva che non trova mai pace né appagamento, in cui perfino le fantasie sono sostituite dalla “protesi artificiale” delle immagini pornografiche prestate dal web, in cui la “caccia” di nuove esperienze sempre più perverse e l’autoerotismo si sostengono a vicenda in un circolo vizioso da cui è sempre più difficile riemergere, fino a una castrazione di sentimenti ed emozioni, che culmina spesso nell’impotenza sessuale. In questo cambiamento sociale, senz’altro, la pornografia a buon mercato ai tempi di Internet ci ha messo del suo, ma non basta da sola a spiegare un fenomeno così complesso.
Il bulimico sessuale non riesce più a innamorarsi, neanche a provare emozioni, fosse pure la semplice eccitazione: cerca di colmare questo vuoto profondo con lo sfogo sessuale, acuendo però in tal modo il vuoto stesso. Si aggiunge poi, spesso, un sentimento di vergogna, dato non tanto dal comportamento in sé ma alimentato dall’esigenza di dovere agire in segreto per salvare matrimonio e onorabilità sociale, aumentando ancora di più, quindi, la scissione e progressiva lacerazione interiore. Il piacere emotivo o anche solo mentale lascia il posto alla pulsione di impossessamento e a quella di dominio, diventa un puro ‘consumo’, come per il cibo nel caso dei bulimici, che si traduce spesso in consumo di sé, dal punto di vista spirituale, emotivo, mentale e fisico. Anche in questo caso l’età di esordio tende ad abbassarsi progressivamente e in modo preoccupante.
Probabilmente anche l’atteggiamento in apparenza opposto, quello della asessualità, spesso punto di arrivo di un percorso masochistico in cui la privazione di un piacere è vissuto come motivo di sofferenza e dunque piacere esso stesso, può essere figlio delle stesse cause, una sorta di “anoressia sessuale“, dunque. Curioso è il riscontro di un modello di santità ascetico e dualistico, che rinnega il corpo o lo mortifica, richiamando su di sé la sofferenza e che esalta come virtuose sia la castità che l’astensione da cibo, come mostra il fenomeno medievale delle “sante anoressiche“. Che i prossimi pazienti saranno uomini più che donne, lo ha detto anche Laura Dalla Ragione, notando come i ragazzi tendano sempre più a prendersi cura, quasi maniacalmente, del proprio corpo, con la ricerca di fisici scolpiti, la pratica dell’epilazione, piercing e tatuaggi. Cura del corpo al punto da farne un oggetto di culto, una cosa, quindi, privata di ogni valenza spirituale.
“Tutti questi disturbi – chiarisce Lia Iacoponelli – derivano da una scissione sociale e, di conseguenza, anche interiore. La società ci vuole magri, muscolosi e atletici ma ci propina al tempo stesso cibi che sono dannosi sia alla salute che alla forma fisica“. Del resto, forse non è un caso se fra le industrie che fanno maggiori affari ci siano quella alimentare e quella del benessere, “alimentandosi”, è il caso di dire, a vicenda. Se all’origine di questi disturbi vi è una scissione, la causa principale sembra da ricercarsi in una sola parola, “l’amore“, come afferma Iacoponelli, deficitario in particolare nelle cosiddette “relazioni primarie di attaccamento“, che si declina poi in mancanza di amore per se stessi e per gli altri, nell’incapacità di ricevere e di darsi reciprocamente.
Tornando ai disturbi prettamente alimentari, uno dei fenomeni sempre più diffuso è il binge eating disorder (bed), la fame compulsiva, un comportamento spesso indotto come compensazione dello stress sociale o di carenze sul piano familiare e affettivo, che è stato finalmente inserito ufficialmente nel manuale internazionale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il Dsm 5. Non solo è il più diffuso tra i dca, ma è anche quello che più frequentemente porta all’obesità, non avendo meccanismi di compenso come per esempio per la bulimia, con tutte le conseguenze anche dal punto di vista della salute fisica che ben conosciamo.
Come si può ben comprendere, per affrontare questa categoria di problemi non basta il trattamento psicologico né quello propriamente medico, ma sono molte le professionalità che devono lavorare a fianco. Il Cedial è un esempio concreto di multidisciplinarietà, come ha chiarito anche Alessandro Bivona, internista e dirigente medico del centro, che insieme all’èquipe di psicologi e psichiatri si prende cura dei pazienti, tracciando percorsi di riabilitazione personalizzati.
Il Cedial è ormai una realtà ben consolidata, che per molti aspetti ha anticipato le linee guida tracciate dal ministero della Salute lo scorso luglio, come ha sottolineato Vincenzo Bruno, dirigente psicologo del centro. Il Cedial riesce a garantire tutti i livelli di intervento, dall’ambulatoriale alla terapia residenziale e semiresidenziale, coinvolgendo i pazienti in attività ludiche e sociali, in particolare nella cucina: “Cucinare è un atto d’amore – afferma Bruno – ed è perciò importante che, a turno, tutti prendano parte al gruppo cucina”. Uno dei fiori all’occhiello del centro è poi l’èquipe bambini, che offre una corsia preferenziale ai pazienti più piccoli, considerando l’importanza di una diagnosi e trattamento tempestivi, per evitare cronicizzazioni dei disturbi o complicazioni successive.
Purtroppo non tutte le realtà sono così efficienti. Come ha evidenziato Laura Dalla Ragione, tracciando lo stato dell’arte dell’assistenza italiana, le 155 strutture specializzate non sono distribuite equamente sul territorio nazionale: si va dalle 20 della Lombardia a una sola in Sardegna, passando per le nove siciliane. Inoltre, non tutte queste strutture coprono tutti i livelli di assistenza, quelle che lo fanno sono concentrate per il 45 per cento al Nord, il 38 al Centro e soltanto il 17 al Sud, costringendo spesso i pazienti a una mobilità fra le regioni, che diventa costosa oltre che psicologicamente dannosa, considerando che le cure in genere non sono inferiori ai due anni. Il vero problema, però, è che solo 15 su 100 arrivano direttamente alle cure adeguate, i restanti 85 passano prima da centri non specializzati perché il medico di base non sempre riconosce i disturbi al loro esordio. Nei prossimi anni, dunque, bisognerà concentrarsi sull’aspetto della prevenzione, un investimento che andrebbe nel medio periodo ad alleggerire le strutture stesse.