Anche per gli anni a seguire si prevede una crescita a due cifre

Boom di farmaci generici anche nel 2013
Assogenerici: +13% di confezioni e +15% di valore

di oggisalute | 3 gennaio 2014 | pubblicato in Attualità
farmaci-generici

Sarà per via della crisi, sarà per una maggiore consapevolezza da parte del consumatore, anche quest’anno è aumentato il consumo di farmaci equivalenti, un boom vero e proprio, iniziato già da qualche anno. Il 2013, secondo i dati forniti da Assogenerici a fine novembre, si è registrato un +13% delle confezioni vendute e un +15% in termini di valore.

Come afferma Enrique Hausermann, presidente dell’associazione che riunisce una cinquantina di aziende del settore, “anche il 2013 è stato un anno positivo, anche se nell’ultima parte di quest’anno si comincia a registrare una crescita inferiore”. Un trend che, tuttavia, si stima proseguire a due cifre anche nel 2014, visto che si sta diffondendo “una maggiore abitudine ai medicinali equivalenti“, nonostante gli italiani abbiano speso nel 2012 “circa 16-17 euro l’anno a testa, per pagare di tasca propria la differenza di prezzo del farmaco branded”.

Il prossimo anno si aggiungeranno al comparto una decina di nuove molecole, dato che sono in scadenza i brevetti dei relativi farmaci, ma ciò non fa auspicare un grosso impatto. Una nuova spinta si dovrebbe avere, invece, nel biennio 2016-2017 con una nuova ondata di scadenze di brevetto, in particolare per i biosimilari di alcune patologie come l’artrite reumatoide.

Non soltanto direttamente le tasche degli italiani ma anche il servizio sanitario nazionale ha un beneficio, che ammonterebbe a circa 300 milioni di euro l’anno, visto che il rimborso dei farmaci è regolato sul prezzo più basso, che scende notevolmente, appunto, quando si parla di generici. E questo nonostante la quota di mercato italiana resti relativamente bassa rispetto agli altri Paesi europei.

Un brevetto di un farmaco di marca ha una durata di 20 anni, che comprende la fase preclinica e le fasi cliniche di sperimentazione, le quali comportano una spesa media di 500-1.000 milioni di euro, che naturalmente va a incidere sul prezzo finale del farmaco stesso. Alla scadenza del brevetto, qualsiasi altra azienda farmaceutica può produrre un farmaco generico equivalente, senza necessità di ulteriore sperimentazione. Rispetto al farmaco di brand deve avere, secondo il decreto legge del 1996, la stessa formulazione, le stesse indicazioni e una bioequivalenza similare. Il principio attivo può variare di +5% o -5%, mentre la bioequivalenza di un valore compreso tra -20 e +20%.

Commenti

  1. federica scrive:

    Ciao, non sono totalmente d’accordo con l’articolo. Le modalità di commercializzazione dei farmaci generici vengono spiegate in maniera blanda e non del tutto corretta…
    Ad esempio la sperimentazione ulteriore, dopo la scadenza del brevetto, non è opzionale ma obbligatoria in quanto c’è dietro tutto uno studio sulla presenza dei principi attivi e il fattore della bioequivalenza che varia in base alla patologia e puo variare in base al tempo.
    io vi rimando ad una interessantissima intervista del professore Gallelli http://vimeo.com/76863820 che può illuminarvi su alcuni aspetti in modo tale da avere una scelta più consapevole sull’argomento.
    Io dopo averla vista, scelgo decisamente il farmaco brand
    ciao

    • valerio droga scrive:

      Cara Federica, intanto grazie per il commento, anche se critico è pur sempre apprezzato, perché avere lettori attenti è per noi uno stimolo in più per scrivere e farlo in modo accurato. Ciò detto, però, mi sento in dovere di affrontare una per una le tue critiche.

      Cominciamo con la sperimentazione, che dici essere non solo opzionale ma addirittura obbligatoria anche per i farmaci generici. Ti devo correggere, la sperimentazione non solo non è obbligatoria ma, quanto a quella animale, perfino vietata o quantomeno sconsigliata. A beneficio degli altri lettori vediamo in cosa consiste la sperimentazione di un farmaco. Ogni farmaco è composto da un principio attivo e uno o più eccipienti: entrambi, se mai sperimentati in precedenza (di norma ciò che è nuovo è solo il principio attivo), vanno testati prima sugli animali (sperimentazione preclinica), poi sull’uomo (sperimentazione clinica). Quest’ultima, come viene ben spiegato qui, si articola a sua volta in quattro fasi: la fase pilota, che coinvolge un numero ristretto di volontari sani, la seconda e terza fase, effettuata su pazienti affetti dalla patologia specifica che il farmaco si propone di affrontare e, infine, un’ultima fase, detta farmacovigilanza, in cui si sorvegliano eventuali altri effetti del medicinale già immesso sul mercato.

      Come scrive in un documento l’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco), che mi auguro anche tu giudicherai fonte autorevole, “la normativa farmaceutica comunitaria, come quella di gran parte dei Paesi del mondo, ha ritenuto non etica la ripetizione delle prove precliniche già effettuate con una sostanza ai fini registrativi che sia già nota da anni” e “per quanto detto sopra, nel dossier di un medicinale equivalente, la parte relativa alla sicurezza non contiene una documentazione originale, bensì sarà costituita da un rapporto bibliografico“.

      Pertanto, per la registrazione di un equivalente, la legge (decreto legislativo 219/2006) prevede una procedura semplificata. In particolare, “l’articolo 10 dispone che il richiedente (azienda farmaceutica) – continua il documento dell’Aifa – non è tenuto a fornire i risultati delle prove precliniche e delle sperimentazioni cliniche se può dimostrare che il medicinale è un medicinale equivalente di un medicinale di riferimento che è autorizzato o che è stato autorizzato da almeno otto anni in Italia o nella Comunità europea” [mio il corsivo].

      Di norma tutte le fasi di sperimentazione assorbono 12 anni dalla registrazione del brevetto, con costi coperti di solito dai successivi 8 anni di commercializzazione esclusiva. In totale, quindi, 20 anni, dopo i quali qualsiasi azienda farmaceutica può richiedere la registrazione di un medicinale equivalente, come appunto abbiamo scritto nell’articolo da te contestato. L’assenza di sperimentazione giustifica la riduzione del prezzo finale, che deve essere di almeno il 20 per cento.

      Naturalmente è scontato, come spiega ottimamente anche il professor Luca Gallelli, che tutto ciò non può escludere i test sulla bioequivalenza, altrimenti sarebbe insensato dire, come è stato fatto nell’articolo, che la bioequivalenza deve essere di più o meno il 20 per cento: come stabilirlo senza un test? Insomma, per la “sicurezza” basta la letteratura scientifica preesistente, mentre per l'”efficacia” serve uno studio di bioequivalenza, appunto, che, nei casi in cui è necessario uno studio clinico, viene effettuato su almeno 12 soggetti, somministrando sia il farmaco test sia quello griffato di riferimento, in tempi diversi, ma modalità e dosi identiche.

      Cos’è la bioequivalenza? È l’equivalenza terapeutica fra due farmaci che contengono lo stesso principio attivo (non necessariamente però gli stessi eccipienti). Gli studi di questo tipo vengono detti di farmacocinetica e misurano la concentrazione massima del principio attivo e in quanto tempo questa viene raggiunta, ovvero la quantità di farmaco che entra in circolo e in quanto tempo agisce. In conclusione, come si legge nel documento già citato, “due farmaci sono bioequivalenti quando, con la stessa dose, i loro profili di concentrazione nel sangue rispetto al tempo sono così simili che è improbabile che essi possano produrre differenze rilevanti negli effetti di efficacia e sicurezza” [miei corsivi e grassetti].

      In ogni caso nell’articolo non diciamo che gli equivalenti siano migliori dei farmaci brand, ma che consentono un risparmio economico di famiglie ed enti pubblici. È ovvio che si debba valutare caso per caso l’opportunità di scegliere il farmaco equivalente o quello di marca e per farlo è fondamentale il ruolo del medico di famiglia, che dovrebbe conoscere la storia medica del proprio paziente. La questione riguarda in particolare (ma non solo) gli eccipienti, che possono essere diversi da quelli dei farmaci griffati. Gli eccipienti non hanno di norma effetti sui soggetti ma servono a trasportare il principio attivo nell’organismo, però questo non vale per tutti i pazienti. Pensiamo all’amido di grano o allo zucchero, entrambi possibili eccipienti, e agli effetti dannosi che possono avere rispettivamente su soggetti celiaci e diabetici! Naturalmente questo rischio vale sia per i generici che per i griffati, quindi vanno valutati sia i principi attivi che gli eccipienti.

      Ora, tu scrivi che “le modalità di commercializzazione dei farmaci generici vengono spiegate in maniera blanda e non del tutto corretta…” [miei i grassetti]. Puntini di sospensione a parte, che di solito servono a sottintendere altro che si preferisce però non esplicitare e su cui quindi non posso dire nulla, voglio soffermarmi sul “non corretto”. Se mi dici che l’articolo affronti la questione in maniera blanda ti posso dare ragione e lo trovo quasi un complimento: è un articolo che si rivolge ai non addetti ai lavori e di conseguenza non possiamo permetterci di approfondire eccessivamente o usare un linguaggio troppo tecnico: il primo comandamento di un giornalista, a differenza di tutte le altre professioni (che possono comunicare in gergo tecnico), è risultare comprensibile anche – si diceva un tempo – alla “casalinga di Voghera“.

      Se quindi mi dici che è incompleto o poco approfondito siamo d’accordo ma ti sfido a trovare sul web un articolo che affronta questa notizia in maniera più approfondita. Partiamo dalla notizia diffusa dall’Ansa e se vuoi tanti altri articoli che potremmo dire “(bio)equivalenti”, che riprendono sostanzialmente la notizia così com’è. A differenza loro, noi abbiamo anzi aggiunto la differenza tra farmaco generico e farmaco di marca, che loro davano per scontato, proprio per venire incontro alla casalinga di Voghera.

      Quindi se parliamo di incompletezza ti posso dare ragione, ma c’è un motivo ben preciso: immagina se l’articolo fosse stato lungo quanto questo commento: quanti lettori avremmo tagliato via! Se parliamo di informazione non corretta, però, no: facciamo il possibile per dare ai nostri lettori un’informazione sintetica ma corretta, pur non essendo per questo immuni al rischio di errore. D’altra parte, siamo contenti quando troviamo lettori attenti come te, perché abbiamo l’occasione per approfondire ulteriormente gli argomenti trattati. Per questa ragione, spero che, nonostante la dovuta incompletezza di alcune notizie, continui a seguirci.

      Valerio Droga

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