Eutanasia, Napolitano invita il Parlamento a un confronto
Si riapre il fronte del “testamento biologico”
Ci sono senz’altro problemi più impellenti per il Paese, è vero, ma la questione è di vitale importanza, è il caso di dire, e quindi non meno impellente per alcuni cittadini. Il Parlamento li rappresenta e, di conseguenza, non può eludere il problema in quanto spinoso e conflittuale. Stiamo parlando del fine vita. Sono 1.900 le lettere indirizzate a parlamentari, opinion leader, figure istituzionali, per invitarli a promuovere e partecipare a un nuovo dibattito sul tema, possibilmente senza pregiudizi e bandiere, inserendolo nell’agenda parlamentare.
A rispondere sono stati soltanto in tre, fra loro la carica istituzionale più alta, il Presidente della Repubblica, che esprime comune interesse a riprendere il filo del discorso. Scrive così a Carlo Troilo, consigliere dell’associazione Luca Coscioni, e al comitato promotore EutanaSia legale: “Ritengo anche io che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulla materia. Richiamerò su tale esigenza – promette -, anche attraverso la diffusione di questa mia lettera, l’attenzione del Parlamento”.
Il dibattito sul cosiddetto testamento biologico, presentato a suo tempo da Ignazio Marino, come sappiamo, si è arenato dopo accesi scontri, rimanendo anch’esso sospeso tra la vita e la morte. Il fine era quello di registrare in anticipo le volontà della persona in merito ai trattamenti sanitari, per evitare il cosiddetto “accanimento terapeutico“. In questo modo, evitando che sia lo Stato a decidere per noi, si intendeva lasciare libertà di scelta al solo deputato a farlo, nel momento in cui è ancora capace di intendere, di volere e di esprimersi, sgravando al tempo stesso medici o familiari di una responsabilità così forte.
Giancarlo Galan (Forza Italia), socio della Coscioni e presidente della commissione Cultura della Camera, che aveva già preso posizione, dopo le parole di Napolitano, ha continuato: “Le parole del presidente siano la chiave per aprire finalmente le porte della più dannosa omertà“. E poi una decina di senatori del Pd, con Andrea Marcucci capofila, chiedono di mettere nuovamente in calendario il disegno di legge originario, come base per un testo di legge parlamentare. Giorgio Napolitano si era già espresso sull’argomento nel 2006, in una lettera a Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare che chiese al medico di staccare il respiratore a cui era attaccata la sua vita. Anche allora il Presidente della Repubblica aveva auspicato un “confronto sensibile e approfondito”.
La moglie di Welby, Mina, ieri era fra i testimonial di una battaglia pro eutanasia. Tra gli altri anche Francesco Lizzani e Chiara Rapaccini, rispettivamente figlio di Carlo Lizzani e compagna di Mario Monicelli, due grandi registi entrambi morti per propria scelta, suicidandosi. L’iniziativa,spiega Marco Cappato, del coordinamento EutanaSia legale, “mira a spingere il Parlamento a esaminare il progetto di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della eutanasia”. Sarebbero state raccolte già 67 mila firme autenticate.
In collegamento era presente anche Umberto Veronesi, per il quale “occorre sviluppare una medicina della responsabilità dell’individuo e abbandonare la medicina paternalistica. Nel nuovo quadro dei diritti del malato – ha aggiunto – va perseguito il diritto dell’autodeterminazione: abbiamo l’ovvio diritto di programmare la vita e anche il termine della vita”.
Carlo Troilo, il cui fratello, malato terminale di leucemia, si era tolto la vita il 18 marzo di due anni fa, annuncia uno sciopero della fame di protesta “contro l’inerzia del Parlamento”. Troilo, sostiene, pur senza evidenze scientifiche, che nei reparti di terapia intensiva muoiono 20-30 mila pazienti con l’aiuto attivo del medico. “Secondo l’Istat – aggiunge, negli ultimi dieci anni si sono verificati in Italia diecimila suicidi e oltre diecimila tentati suicidi di malati“, praticamente mille l’anno. Per questo ha chiesto al Parlamento l’avvio di una indagine conoscitiva su come si muore in Italia, prima di riprendere in mano il progetto di legge.
Riaprire il dibattito, tuttavia, in un momento come questo significherebbe dividere una maggioranza che sta in piedi a stento, anche perché su un tema così delicato il fronte del sì e quello del no sono trasversali rispetto ai partiti, gli esiti del dibattito, dunque, potrebbero essere imprevedibili, tanto più se si dovesse affrontare la questione in maniera pregiudiziale e ideologica. Questi sono i timori di alcuni, fra cui Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato, secondo il quale “si rischia di aprire un fronte di aspro confronto“. Per Maurizio Sacconi, invece, “serve un confronto di idee come alternativa allo scontro ideologico che altri pretendono”.
Decisamente serve un dibattito approfondito, sulle idee innanzitutto, che coinvolga anche la società attraverso le sue associazioni, siano pro che contro. Se però a ciò non dovesse seguire un dibattito parlamentare concreto, finalizzato cioè a sublimarsi in legge, a cosa servirà? Insomma, invito alla prudenza e no a proposte di legge concrete sembra la linea attendista al momento dominante. Se dovesse prevalere si rischierà ancora una volta di congelare il disegno di legge, senza assumersi la responsabilità di fronte agli elettori (oltre che alla propria coscienza) di trasformarlo in una legge.