Pterigio, colpa del sole e di fattori ereditari
Anche se recidiva va rimosso nei casi più fastidiosi
L’estate sta andando in letargo, è ora di trarre le nostre “statistiche” sullo pterigio. Se ne parla già dall’anno 1.000 a.C. quando Susruta, medico egiziano, descriveva lo pterigio con precisione e il suo trattamento chirurgico. Così anche Ippocrate (469 a.C.), Celso (50 d.C.) e Galeno (131 d.C.). Ambrose Pare (secolo XVI) sullo pterigio scriveva: “Voi imparerete da Celso che questa malattia recidiva sempre, anche quando avrete fatto tutto ciò che è in vostro potere per curarla”. Questo concetto è rimasto tale fino ad oggi. Anche se recidiva lo pterigio va comunque asportato.
La sua maggiore incidenza, ritornando all’estate, è proprio nelle aree geografiche calde e soleggiate, quando l’esposizione ai raggi ultravioletti (U.V.) è quotidiana e prolungata negli anni. L’età più a rischio è intorno alla terza decade di vita. Predilige gli agricoltori, i pescatori e i marittimi, gli edili, i saldatori e comunque coloro i quali trascorrono molte ore del giorno all’aria aperta, esposti all’azione dei raggi solari. Ma i fattori di rischio non vanno ricercati solo nell’ambiente di vita e di lavoro: secondo alcuni autori lo pterigio si trasmette con ereditarietà multifattoriale a penetranza incompleta ed espressività variabile.
Duke-Elder segnala un’ereditarietà di tipo dominante a bassa penetranza, che non riguarderebbe la lesione, ma una predisposizione della congiuntiva a reagire in maniera anormale agli stimoli atmosferico/ambientali. Fattori ambientali e genetici sembrerebbero mescolarsi tra di loro, ma ancora da chiarire con ulteriori studi epidemiologici. I meccanismi biologici e patogenetici che causano lo pterigio non sono perfettamente conosciuti e le teorie eziologiche proposte non chiariscono la natura e l’origine di questa lesione la cui spiegazione clinica è ancora variabile.
Resta la definizione di pterigio come una neoformazione fibrovascolare che nasce dalla congiuntiva bulbare e cresce verso la cornea provocando una infiltrazione superficiale della stessa. Ha una tipica forma triangolare, disposto in modo orizzontale, con la base verso la plica semilunare e l’apice rivolto verso il centro corneale. Sede prediletta è la congiuntiva bulbare del canto interno oculare. Evolve con molta lentezza, con una progressione non costante negli anni, ma soprattutto tende a riformarsi dopo la rimozione. Nelle forme iniziali è bene solo controllarlo, anche se a volte è il paziente stesso a chiederne la rimozione o per motivi estetici o per fenomeni irritativi.
Nelle forme più avanzate, quando c’è un’importante invasione della cornea e anche se recidiva, va comunque rimosso. La sintomatologia è in relazione al quadro clinico: nelle forme lievi (pterigio tipo1) è praticamente assente, nel tipo 2 e 3 può insorgere un’alterazione della vista per un astigmatismo irregolare indotto o una riduzione del visus per una invasione importante in zona ottica. Altri disturbi possono essere: fotofobia, bruciore all’esposizione al caldo e al freddo, sensazione di corpo estraneo. Nelle fasi di “infiammazione” i sintomi si accentuano. Aspetto importante è la diagnosi differenziale soprattutto nei riguardi delle forme tumorali nelle fasi iniziali. Importante è comunque sottoporsi periodicamente a visita dello specialista oculista ai fini di una buona prevenzione. La chirurgia rappresenta il trattamento più efficace per l’asportazione dello pterigio, ma sempre su indicazioni rispettose del quadro clinico e dei fattori di rischio.
Maria Letizia Boccia
Medico oculista, referente regionale Aimo per la Calabria
maletiziaboccia@yahoo.it
www.studiooculisticomediterraneo.com