Sepsi, l’albumina potrebbe salvare seimila vite in più ogni anno in Europa
Albumina sì, albumina no? L’Europa si è divisa in questi ultimi anni su questo dibattito per la cura della sepsi in terapia intensiva. La sepsi avviene quando un’infezione da microorganismi patogeni ‘invade’ il circolo sanguigno e quindi può diffondersi a tutti gli organi e tessuti; nei casi più gravi porta allo choc settico, che a sua volta può provocare l’insufficienza di diversi organi e la morte nel 50-60 percento dei casi.
Non tutta la comunità scientifica si è trovata d’accordo, infatti, nell’utilità della sua somministrazione: per alcuni porta benefici, per altri può risultare perfino dannosa. Un nuovo studio cerca invece di risolvere definitivamente il dibattito. “Tornare a usare l’albumina nei reparti di terapia intensiva potrebbe significare salvare la vita a 5-6 mila persone in più ogni anno in Europa“. È la stima di Luciano Gattinoni, direttore del Dipartimento di emergenza urgenza della Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano e del Dipartimento di fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti dell’Università degli studi di Milano, che ha coordinato uno studio per verificare gli effetti di questa proteina sui pazienti ricoverati per una sepsi grave o uno choc settico. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica New England journal of medicine e ha coinvolto cento strutture di terapia intensiva e rianimazione a livello nazionale.
L’albumina è una proteina presente naturalmente nel sangue e svolge funzioni essenziali. Ad esempio regola la corretta distribuzione dei liquidi corporei, mantiene l’equilibrio tra le sostanze che si distribuiscono dal sangue ai tessuti e viceversa e ha proprietà anti-infiammatorie. Nei pazienti con sepsi la concentrazione di albumina è in genere diminuita: iniettarla, quindi, potrebbe migliorare il decorso della malattia. Per più di vent’anni, però, “le condizioni con cui utilizzare l’albumina sono state un aspetto molto dibattuto e controverso – spiegano gli autori dello studio – sia per la comunità scientifica che per le autorità regolatrici. Studi mirati a valutazioni sistematiche arrivano addirittura a segnalarne un rischio più che un beneficio e a renderne perciò inaccettabili i costi”.
Per questo gli esperti del Policlinico, in collaborazione con l’Università degli studi di Milano, il Consorzio Mario Negri Sud, l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e l’Ateneo di Milano-Bicocca hanno coordinato lo studio Albios, che ha coinvolto 100 rianimazioni su tutto il territorio nazionale e oltre 1.800 pazienti per tre anni e mezzo. “Lo studio – spiega Gattinoni – è uno dei più ampi mai realizzati per questa patologia ed è stato finanziato dall’Agenzia italiana del farmaco; è a totale finanziamento pubblico e senza alcun compenso per il personale coinvolto. Inoltre, ha prodotto risultati assolutamente originali e con un impatto certo per le terapie intensive di tutto il mondo: reti collaborative di questo tipo non hanno riscontro in altri Paesi”.
I clinici hanno diviso in pazienti in due gruppi: al primo sono stati somministrati i cristalloidi, soluzione di acqua e sali per reintegrare il volume di liquidi del paziente; al secondo gruppo è stata somministrata albumina in aggiunta ai cristalloidi. Già dopo sette giorni di terapia, il gruppo che aveva ricevuto anche l’albumina aveva una pressione sanguigna migliore e un minor accumulo di liquidi nei tessuti. Nelle settimane seguenti, inoltre, “abbiamo verificato che la sopravvivenza dei due gruppi inclusi nello studio era simile. Abbiamo però anche evidenziato un miglioramento della mortalità pari al 6-7 percento nei casi con choc settico, quelli più gravi, trattati con albumina – riporta Gattinoni – un risultato straordinario per una condizione clinica tanto a rischio e che apre la strada ad un’indicazione nuova”.
In Europa i pazienti con una diagnosi di sepsi grave o di choc settico sono il 15-20 percento di quelli ricoverati nei reparti di rianimazione. In Italia queste patologie colpiscono almeno 16 mila persone, che arrivano a 120-200 mila a livello europeo. “Nel progetto – aggiunge Roberto Latini, capo del Dipartimento cardiovascolare del Mario Negri – è stato possibile creare una delle più ampie banche mai realizzate con i campioni biologici dei pazienti con sepsi. Le analisi hanno già permesso di seguire l’evoluzione dello choc nel singolo paziente e di caratterizzare nuovi marcatori di rischio e saranno oggetto di nuove ricerche collaborative anche a livello internazionale”.
I risultati dello studio, concludono gli autori, “confermano una volta per tutte che la somministrazione di albumina può produrre vantaggi significativi in caso di grave sepsi. Sarebbe quindi utile tornare a utilizzarla in questa patologia, come l’Italia, il Belgio e la Francia hanno continuato a fare in questi anni“.