Aids, alcol e droghe tra le cause di contagio
Vaccino in arrivo? Tra speranze e scetticismo
Detto così può far pensare che la malattia si possa contagiare con una bevuta o una sniffata. Sia chiaro, l’aids si contagia solo attraverso il sangue, e allora cosa hanno a che fare le droghe e men che meno gli alcolici?
ALCOL E DROGHE ABBASSANO I FRENI INIBITORI E FAVORISCONO RAPPORTI INCONTROLLATI
Come spiega Carlo Federico Perno, professore di Virologia all’università di Roma Tor Vergata e direttore della scuola di specializzazione in Microbiologia e virologia, “sesso sregolato e mancanza di percezione del rischio e della conseguente necessità di proteggersi, al giorno d’oggi, sono i principali fattori che favoriscono il contagio: rimane importante il ruolo delle droghe, soprattutto cocaina, che abbassano i freni inibitori e provocano un cedimento dello stato coscienzioso e dell’autocontrollo, soprattutto tra i giovani. Si può calcolare – sottolinea il professore – un aumento di infezioni, negli ultimi anni, del 10-15% nella fascia più giovane, tra i 16 e i 25 anni, soprattutto a causa di rapporti omosessuali“. Il boom tra gli omosessuali (si è passati da un’incidenza del 6,3% del 1985 al 37,9% nel 2012) rafforza la paura dei virologi, quella cioè di una mancata percezione della malattia, intendendo i contraccettivi meccanici prevalentemente come mezzo anticoncezionale e non anche come strumento per evitare il contagio di malattie sessualmente trasmissibili.
NEGLI ANNI ’80 LA PRINCIPALE CAUSA DI CONTAGIO ERA L’EROINA, OGGI IL SESSO
In effetti, dalla metà degli anni Ottanta a oggi la distribuzione dei casi per modalità di trasmissione ha subìto un netto cambiamento: se nel 1985 le infezioni dovute a scambio di siringhe era del 76,2%, nel 2012 è passata al 5,3%, anche grazie a una minore diffusione dell’eroina, mentre sono aumentati i casi da trasmissione sessuale: nello stesso periodo sono passati dall’1,7 al 42,7%. Le droghe dunque c’entrano sempre, ma in maniera indiretta, facendo decadere i freni inibitori e aumentare, conseguentemente, i livelli di incoscienza. È uno dei punti che è emerso dalla sesta edizione Icar, la Conferenza italiana sull’aids e i retrovirus, promossa salla Simit, la Società italiana malattie infettive e tropicali.
GLI ANTIVIRALI GENERICI POSSONO FAR ABBASSARE LA SPESA FARMACEUTICA
Un altro argomento che è stato sviscerato dall’incontro è relativo alle spese sanitarie. La spesa farmaceutica è in continua crescita e gli antivirali sono la seconda voce di costo della farmaceutica ospedaliera dopo gli oncologici e, tra gli antivirali, i farmaci anti-Hiv assieme alle nuove terapie anti epatite C sono le voci più grosse. Questo per due ragioni: da una parte, trattandosi di medicinali non risolutivi ma di controllo, vanno assunti per tutta la vita; dall’altra, si tratta di farmaci costosi in sé. Tuttavia, trovandoci di fronte a una crisi che non risparmia neppure il settore pubblico, si stanno cercando strumenti che possano tagliare i costi senza rinunciare all’efficacia della cura. In questa ricerca trovano spazio gli antiretrovirali bioequivalenti: “La genericazione di diversi antiretrovirali che è in atto negli ultimi due anni è un’opportunità per ridurre i costi mantenendo invariata l’efficacia. Già oggi, per almeno quattro antiretrovirali di comune impiego, sono disponibili sul mercato gli equivalenti generici e altre scadenze brevettuali sono all’orizzonte nei prossimi anni e mesi”. A dirlo è Andrea Antinori, direttore del dipartimento clinico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e copresidente del congresso.
PREVENZIONE PRIMARIA, DIAGNOSI PRECOCE E ADERENZA ALLE CURE SONO I TRE PILASTRI
Antinori ha acceso i riflettori anche su un altro problema: se “oggi la terapia antiretrovirale consente di controllare la viremia in più dell’80% dei soggetti in trattamento” è pur vero “che non tutti i soggetti positivi sanno di esserlo (circa il 15% non è consapevole) e non tutti quelli che scoprono l’infezione continuano a farsi seguire, con la conseguenza che almeno il 44% dei soggetti infetti non riesce oggi a controllare la viremia nel sangue, aumentando il rischio clinico per sé e anche il rischio di contagio”. In due parole, bisognerebbe porre un’attenzione maggiore alla diagnosi precoce e all’aderenza alla terapia, senza dimenticare, naturalmente, l’importanza della prevenzione primaria.
NONOSTANTE LE CURE, UN SIEROPOSITIVO HA UN RISCHIO SETTE VOLTE MAGGIORE DI MORIRE
Sull’importanza della prevenzione ha parlato Massimo Andreoni, presidente della Simit e della conferenza, che ha sottolineato come l’efficacia delle terapie odierne non deve far abbassare la guardia: “I farmaci – ha detto – sono estremamente efficaci ma non in grado di eradicare l’infezione“.
Nonostante la validità della terapia, inoltre, bisogna anche riconoscere che la malattia fa persistere “un difetto nel sistema immune e c’è una forte immunoattivazione, causando varie malattie altrimenti legate alla vecchiaia quali l’infarto cardiaco, i tumori e l’invecchiamento precoce, afferma Barbara Ensoli, vicepresidente della Commissione nazionale aids. “Si calcola – continua – che i pazienti in cura abbiano comunque sette volte maggior rischio di morte rispetto ai soggetti mai infettati“.
SCOPERTO IL RECETTORE CHE FRENA IL TUMORE TIPICO DELL’AIDS
Tra i tumori che più tipicamente si accompagnano all’Hiv, il sarcoma di Kaposi, soprattutto nell’Africa subsahariana, dove l’accesso alle terapie antiretrovirali è ancora molto limitato. Uno studio pubblicato su Cancer immunology research, frutto della collaborazione dei ricercatori dell’Università statale di Milano e la Fondazione Ca’ Granda dell’Ospedale maggiore Policlinico e guidato da Raffaella Bonecchi e Massimo Locati, ha evidenziato come il recettore D6 contrasti l’infiammazione che fa progredire il tumore.
VACCINO IN ARRIVO? LE POLEMICHE
Barbara Ensoli si è anche soffermata sull’ipotesi vaccino. Sarebbero necessari 100 milioni di euro per averlo pronto già nel 2018. “Abbiamo completato la fase 2 in Italia, con risultati incoraggianti, stiamo terminando la fase 2 in Sudafrica, dove partirà a breve la fase 3, quella finale. Il numero di maggio di Altreconomia denuncia in una sua inchiesta, tuttavia, che sono stati già stanziati 49 milioni di euro di soldi pubblici per la ricerca del vaccino, ma dei risultati potrebbe beneficiarne un ente privato: secondo l’articolo, una parte rilevante dei brevetti è stato ad oggi ceduto alla Vaxxit srl, con un capitale sociale per il 70% appartenente alla stessa Ensoli, che si difende: “Noi finora abbiamo speso 26,8 milioni di euro pubblici. Saranno gli investitori stessi a cogliere i frutti economici di questa ricerca, stesso discorso per quanto riguarda lo Stato italiano”.
Guido Silvestri, professore di Patologia e immunologo della Emory University di Atlanta (Usa), invita tuttavia alla prudenza: “Credo sia estremamente prematuro parlare di efficacia clinica – ha detto – è importante evitare, per il bene dei pazienti stessi e del pubblico, di suscitare aspettative e speranze che non sono giustificate sulla base dei dati presentati finora“.