Allarme aids in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna:
più della metà dei casi italiani è concentrata qui
Da sole rappresentano oltre la metà dei casi di aids in Italia. Stiamo parlando di Lombardia (27,6%), Lazio (14,5%) ed Emilia-Romagna (10,4%). In tutto il paese il numero di segnalazioni si è stabilizzato su circa 4.000 nuovi casi all’anno e si stima che siano in totale 150 mila i sieropositivi italiani. Il vero problema è dato dal fatto che la diagnosi arriva in genere troppo tardi, quando cioè il soggetto ha già infettato altre persone. Si tratta mediamente di uomini di 38 anni e donne di 26.
Altro dato allarmante riguarda la ricerca, che in Italia sta arretrando, almeno se consideriamo il minore sostegno economico. La continua riduzione dei finanziamenti per la ricerca che si è registrata negli ultimi anni ha fatto retrocedere il nostro paese agli ultimi posti delle classifiche dell’Unione Europea e dell’Ocse. Stiamo assistendo, infatti, ad un progressivo smantellamento della rete scientifica con il pretesto che le università, così come ospedali e altre istituzioni, sono troppe e quindi inutili e costose. Tutto ciò sta determinando una continua emigrazione di giovani laureati in altri paesi europei e del resto mondo. Per contro, nonostante i tagli dei finanziamenti, la ricerca italiana continua a classificarsi fra le migliori in Europa e nel mondo.
“In questo scenario – spiega Massimo Andreoni, presidente Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali – si svolgerà a Roma, fino al 27 maggio, sotto l’Alto Patronato dalla Presidenza della Repubblica, la Conferenza italiana sull’aids, ICAR, nel quale accanto ad illustri scienziati provenienti dal tutto il mondo saranno i giovani ricercatori italiani a presentare i risultati della loro ricerca. Infatti, gran parte del convegno sarà dedicato alla presentazione di studi condotti in Italia da circa 100 giovani ricercatori selezionati per le ricerche svolte. La conferenza quest’anno vede partecipare più di mille delegati di cui il 45% rappresentato da donne”.
In questi giorni è in corso a Roma la sesta edizione di Icar, la Conferenza italiana sull’aids e i retrovirus, promossa salla Simit, la Società italiana malattie infettive e tropicali. Il congresso propone un inedito e tridimensionale approccio tra scienza di base, ricerca diagnostico-clinica, competenze delle associazioni di pazienti e delle comunità colpite dall’hiv. Un obiettivo ambizioso in un momento in cui gli standard di assistenza e cura raggiunti in Italia devono confrontarsi con esigenze di sostenibilità, mettendo così costantemente in discussione i percorsi intrapresi nei diversi ambiti.
“Il timore di noi specialisti è che le denunce di infezione possano essere sottostimate rispetto ai casi effettivi – afferma Carlo Federico Perno, professore di Virologia all’università di Roma Tor Vergata e direttore della scuola di specializzazione in Microbiologia e virologia – Al di là dei numeri, ciò che ci colpisce sono le nuove popolazioni: aumentano le infezioni per i giovani omosessuali, che pensavamo protetti dalle campagne d’informazione. Inoltre l’Italia è tra i fanalini di coda in Europa come tempo della diagnosi: è troppo tardiva, in fase avanzata, e questo significa minori chance di tornare alla normalità anche con una terapia antivirale efficace, nonché maggiori chance di contagio di altre persone nel lungo periodo che intercorre tra l’infezione e la diagnosi (tardiva). La colpa è, purtroppo, semplice: la totale assenza della percezione della malattia e la completa incoscienza di fronte alla gravità della stessa”.
“La sensazione che si percepisce – afferma Massimo Andreoni, presidente di Icar e Simit – è che le nuove possibilità terapeutiche che rendono oggi questa malattia controllabile nella maggior parte dei casi e un ridotto interesse da parte dei media abbia determinato una perdita di attenzione da parte della popolazione alla trasmissione di questa malattia, ma è utile ricordare che i farmaci che oggi possediamo sono estremamente efficaci ma non in grado di eradicare l’infezione e quindi il trattamento della malattia deve essere considerato cronico per tutta la vita con le conseguenze che questo può determinare”.
Tra le tematiche che affrontate, la centralità del rapporto comunicazionale tra paziente e medico, l’esplorazione delle possibilità ad ampio raggio in campo preventivo, la valutazione complessiva del paziente al fine di favorire un monitoraggio d’insieme, l’attenzione a particolari problematiche di popolazione e di condizione clinica, l’imprescindibile correlazione tra il dato di successo virologico e le conseguenti sfide cliniche in funzione della promozione della qualità della vita dei pazienti.
In linea con la tradizione e la filosofia Icar, anche l’edizione 2014 dedica ampio spazio al contributo dei giovani ricercatori italiani: nelle comunicazioni orali, nei poster e attraverso il premio Icar-Croi 2014. Stessa grande attenzione alle persone affette e alle associazioni, con diversi momenti dedicati nell’ambito del programma scientifico e con l’introduzione di un nuovo topic “scienze sociali e aspetti di comunità” tra gli argomenti portanti del congresso. Infine Icar-lab, una nuova sessione pensata proprio per confrontarsi e indirizzarsi verso percorsi comuni nei vari ambiti.