Cancro al colon, la nuova chirurgia mininvasiva
Tre milioni di italiani se lo son lasciati alle spalle
Il tumore al colon fa sempre meno paura, non perché sia meno diffuso, tutt’altro, ma perché negli anni si sono perfezionate le tecniche di intervento e prevenzione. A partire dagli anni ’70 è cambiato l’approccio alle malattie del colon già con l’introduzione della colonoscopia, per poi progredire con l’utilizzo delle suturatrici meccaniche negli anni ‘80, proseguire con la laparoscopia, fino alla robotica ai nostri giorni: questa è l’evoluzione continua della chirurgia mininvasiva, quella che riduce i tagli al minimo indispensabile. Questa ha ridotto il numero delle complicanze legate all’intervento stesso e all’accesso chirurgico di almeno un terzo: allo stesso modo è diminuita anche la mortalità, anche nei pazienti anziani e più fragili.
Se n’è discusso durante il congresso nazionale “Nuovi trend in chirurgia colo-rettale”, al Policlinico Tor Vergata di Roma. L’appuntamento è stato organizzato da Achille L. Gaspari, docente all’Università di Tor Vergata e presidente della Società italiana di chirurgia oncologica, con partecipanti italiani e stranieri leader in Usa e Regno Unito.
“In Italia l’oncologia è promettente e limitata allo stesso tempo – dichiara il professor Gaspari – da un punto di vista culturale e tecnico, infatti, siamo nelle condizioni di confrontarci con le nazioni più avanzate al mondo. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, invece, tutto è lasciato alla volontà delle singole regioni di creare reti oncologiche e di stabilirne criteri. Noi riteniamo che lo Stato e il Ministero della salute debbano garantire, tramite direttive, uniformità e disciplina per tutti i centri di eccellenza. Non deve essere il cittadino a impazzire nella ricerca di informazioni e soluzioni, ma spetta allo Stato creare un sistema di prevenzione e informazione corretta, tale da garantire una soluzione definitiva e senza controindicazioni”.
Il cancro al colon è una malattia che ha un’incidenza importante, soprattutto per adulti e anziani, ma consente la possibilità di una diagnosi precoce e di una prevenzione. Se riusciamo a individuare la presenza di polipi nel colon, basta un semplice intervento endoscopico per toglierli, impedendo così la trasformazione in cancro. Questa prontezza d’intervento garantisce una spesa economica, sia dello Stato che del singolo cittadino, di gran lunga inferiore rispetto alla stessa se lo stato della malattia diventasse conclamato.
“La terapia chirurgica non è cambiata nella sostanza, quanto nella sua forma – spiega Pierpaolo Sileri, docente dell’Università Tor Vergata di Roma e promotore del congresso – l’intervento chirurgico è sicuramente più efficace in termini di riduzioni delle complicanze e recupero funzionale del paziente. Oggi interventi una volta gravosi per anziani possono essere eseguiti con sicurezza e risultati sovrapponibili a quelli ottenuti in pazienti più giovani”.
“Tor Vergata è come una Ferrari: tecnologicamente perfetta, ma senza benzina – sottolinea Giuseppe Petrella, presidente della Società euroasiatica di chirurgia oncologica e ordinario di Chirurgia generale al Policlinico universitario Tor Vergata – in questa struttura ci sono quattro sale operatorie, costate decine di milioni di euro, chiuse per mancanza di personale. Una situazione che non è esclusiva del nostro ospedale, ma uguale a tutto il resto d’Italia. D’altra parte abbiamo un capitale di giovani per il quale è stato investito tempo e denaro per la loro preparazione, che è rimasto fermo ai box, perché non ci sono sale per operare. Abbiamo una carenza assoluta di posti letto: se in altre città ci sono circa 5,4 posti letto per mille abitanti, a Tor Vergata, che ha un bacino di utenza di circa 900mila persone, ne abbiamo soltanto 1,4”.
“Siamo impegnati in un’operazione di riorganizzazione della spesa pubblica nel suo complesso – risponde il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini, intervenendo al congresso – Quella della spesa sanitaria è la parte più complessa perché abbiamo a che fare con il diritto alla salute, con i livelli essenziali di assistenza, e quindi necessita maggiore approfondimento e selettività per fare in modo che eventuali riduzioni corrispondano a eliminazione di spese superflue non a compressione del diritto alla salute. Attraverso l’applicazione che è in atto del metodo dei costi standard io credo che si riuscirà a conseguire questo obiettivo. Occorre ripartire dalla domanda e dalla centralità del paziente”.
Secondo gli ultimi dati, 40-50 su 100mila sviluppano il cancro al retto o al colon, per un totale di 50mila malati in Italia. La maggioranza dei pazienti, circa il 50%, arriva da noi in uno stadio intermedio, solo pochi sono coloro che se ne accorgono prima. L’incidenza grezza del carcinoma colorettale nel nostro Paese è di circa 50 nuovi casi per anno per 100mila abitanti; i tassi più elevati si registrano nell’Italia centro settentrionale con una maggior prevalenza per i tumori del retto nel sesso maschile. Rappresenta il secondo tumore in ordine di frequenza per incidenza stimata sull’intera popolazione, con un tasso di 46,2 per 100mila persone negli uomini e del 40 per 100mila nelle donne. Tale tasso è pari a 200-250 per 100mila sopra i 75 anni.
Oggi grazie ad un intenso programma di screening e diagnosi precoce circa solo un terzo del pazienti arriva in uno stadio ben più grave. Nel resto del mondo il carcinoma colorettale rappresenta una delle principali cause di morbosità e mortalità per neoplasia: si riscontrano quasi un 1 milione di nuovi casi l’anno nel mondo. Aumenta ogni anno l’incidenza, il verificarsi di nuovi casi; ha numeri altissimi la prevalenza, l’insieme di tutti i casi esistenti in una popolazione, in un determinato momento. Quasi mezzo milione di persone ogni anno in Italia hanno diagnosi di tumore e una cifra pari a un terzo muore ogni anni per neoplasia. Il costo è pari a 16 miliardi di euro in Italia.
“Fortunatamente aumenta anche il numero di coloro che si sono lasciati il cancro alle spalle – aggiunge il professor Sileri – nel nostro Paese quasi 3 milioni di persone vivono con una precedente diagnosi di tumore, nel 2020 saranno circa 4 milioni 500 mila. La sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore rappresenta uno dei principali indicatori che permette di valutare l’efficacia del sistema sanitario nei confronti della patologia tumorale”.