Farmaci “generici”, tra rischi e opportunità di risparmio
Medici e pazienti chiedono garanzie
Biosimilari, equivalenti o semplicemente farmaci generici, il risparmio è assicurato. Si risparmia, è vero, e in tempi di crisi rappresentano quindi una grande opportunità per le famiglie e per lo stesso servizio sanitario nazionale, ma ci sono rischi? Se da una parte occorre tutelare la salute del paziente e il suo diritto di scegliere la migliore terapia a disposizione, dall’altra si ha la necessità di contenere i costi sanitari, se non altro per rendere sostenibile il sistema e quindi l’assistenza a più persone possibile.
Com’è noto, i farmaci bioquivalenti sono quei medicinali che utilizzano un principio attivo il cui brevetto è scaduto: rispetto ai relativi farmaci “di marca”, quindi, hanno costi molto inferiori. Tra i due tipi, tuttavia, possono esserci lievi differenze, per esempio sul tipo di eccipiente usato. Alcune categorie di pazienti devono starvi molto attente, come i diabetici, se si tratta di saccarosio, i celiaci per l’amido di grano e soggetti allergici e intolleranti nel caso di lattosio o parabeni.
Questo vale per tutti i farmaci, non solo quelli generici, ma bisogna prestare particolare attenzione quando si passa da uno all’altro: il fatto che non si abbiano effetti collaterali con quello di marca non significa necessariamente che non si presentino passando all’equivalente. Inoltre, ci sono lievi differenze nelle concentrazioni del principio attivo, il che può ridurne (o aumentarne) l’efficacia ma anche generare effetti indesiderati: va quindi adeguata la posologia in caso di switch terapeutico, cioè nel caso di passaggio dal farmaco brand al biosimilare.
Proprio per affrontare a 360° queste tematiche complesse, la Fondazione Charta ha promosso in alcune città italiane una serie di incontri ad hoc dal titolo “Il valore del farmaco biologico tra continuità terapeutica e sostenibilità economica” nel quale si confrontano rappresentanti delle istituzioni, clinici, farmacisti ospedalieri e farmacoeconomisti.
Il nodo intorno al quale si confrontano da alcuni anni decisori pubblici, specialisti e associazioni di pazienti è se un farmaco biosimilare equivalga in tutto e per tutto al farmaco originatore. Le norme di Ema e Aifa parlano chiaro: il farmaco biosimilare è simile (analogo), ma non uguale, al farmaco biologico di riferimento, il cosiddetto originatore. Di conseguenza i due non sono automaticamente interscambiabili e non vale per loro il principio della sostituibilità automatica.
C’è poi il problema, non di poco conto, degli studi clinici sui biosimilari, anche se il regolamento dell’EMA stabilisce la possibilità di trasferire al biosimilare le indicazioni approvate per il biologico originatore, la cosiddetta estrapolazione.
“La problematica è duplice – afferma Vito Annese, direttore della Gastroenterologia ospedaliera del “Careggi” di Firenze – da un lato c’è il paziente al quale si propone un trattamento per il quale il medico non ha nessuna evidenza diretta circa l’efficacia, dall’altro c’è il paziente che è in trattamento con l’originatore ma si potrebbe trovare nella condizione di passare dal biologico al biosimilare senza sapere con certezza se ci sarà una perdita di efficacia e di sicurezza“.
Regole a parte, lo scenario nazionale è quanto mai variegato: alcune Regioni hanno emanato delle linee guida di massima per la prescrizione dei biosimilari, indicando sulla scia delle raccomandazioni Aifa, che il biosimilare diventi il farmaco di prima scelta per il trattamento dei pazienti naive; altre hanno emanato documenti tecnici di valutazione clinica dei biosimilari; altre ancora non hanno preso alcun provvedimento in merito.
I farmaci biosimilari rappresentano una ulteriore opzione terapeutica a disposizione dei medici ed è al medico che spetta la decisione ultima. Sta ai medici decidere quale sia la strada da seguire: passare al biosimilare o scegliere il biologico. “Il rischio più grande – spiega Vito Annese – è che il medico possa essere messo sotto pressione da un budget che non deve sforare. La sostituibilità automatica, che noi medici non auspichiamo di certo, pone un gravoso problema di deontologia medica: il medico potrebbe essere costretto a sostituire il farmaco biologico che funziona con uno di cui non si sa quasi niente”.
Per i pazienti affetti da patologie gravi e debilitanti, un biologico ha il valore di un farmaco salvavita e le associazioni chiedono che si scelga l’eventuale passaggio dal biologico originatore al biosimilare su dati clinici che ne avvalorino efficacia e sicurezza piuttosto che sul risparmio. “È indispensabile, come richiesto dalle linee guida Ema, un dossier di registrazione che riporti studi comparativi preclinici e clinici, per dimostrare che il farmaco possieda un profilo sovrapponibile a quello del prodotto di riferimento quanto a efficacia, sicurezza e qualità – sottolinea Salvatore Leone, direttore generale Amici, l’Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino – e cinque anni di farmacovigilanza attiva sul prodotto autorizzato, vale a dire lo stesso tempo previsto per un farmaco innovativo immesso sul mercato”.
Specialisti e sssociazioni dei pazienti, uniti in una sorta di Alleanza, ritengono necessaria a questo punto la creazione di un manifesto condiviso per tutelare il diritto del paziente alla continuità terapeutica e per coinvolgere il più possibile i malati nelle scelte terapeutiche.