Ne sono vittime soprattutto le donne

Alla scoperta della sindrome di Samo:
se il contagio è volontario

di federica di martino | 16 aprile 2015 | pubblicato in Attualità
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La continua informazione e prevenzione rispetto all’infezione da Hiv (virus dell’immunodeficienza umana), nonchè ad altri disturbi sessualmente trasmissibili (sifilide, gonorrea, epatite C, lebbra), che ha fortemente ridotto il numero di persone contagiate, nonchè migliorato negli anni la prognosi dei quadri patologici conseguenti all’infezione.

Tuttavia, in relazione a questa infezione converge una sindrome poco conosciuta, che rischia di aumentare in maniera esponenziale il numero di persone contagiate.

La sindrome di Samo è il termine con cui alcuni studiosi italiani definiscono un disturbo che coinvolge prevalentemente l’area affettiva, e prevede l’attaccamento morboso ad un partner portatore di malattie sessualmente trasmissibili, senza che vi sia alcuna preoccupazione per le pratiche cautelative di protezione dal contagio. Chi è affetto da questa sindrome in molti casi cerca volontariamente il contagio, ama la malattia in primis  e vuole ammalarsi per una sorta di gesto eroico, di unione profondissima e simbiotica con colui che è portatore della malattia stessa. La sindrome di Samo non è citata nel Dsm (Manuale diagnostico dei disturbi mentali) ma può essere inclusa nelle forme parafiliche della patofilia o nosofilia (dal greco páthos o nosos e philía), caratterizzate dall’amore per la sofferenza (páthos) o per la malattia (nosos) che affligge soggetti portatori di patologie con caratteristiche epidemiche e facilmente trasmissibili per via sessuale.

Nonostante tutte le campagne di prevenzione e tutte le informazione accessibili, sono ancora diffusi gli annunci on line di persone che cercano esclusivamente sesso bareback con una duplice visione della tematica che ruota attorno a due polarità: onnipotenza/sacrificio.

Un rapporto perverso all’interno della relazione amorosa, in cui il “contaminatore” detiene in sè la capacità di donare qualcosa che gli appartiene rendende partecipe l’altro, che si presta ad assumere la malattia come segno evidente e tangibile d’amore, nonchè come legame indissolubile con l’altro.

La letteratura scientifica, nonchè gli studi sul tema, vedono nelle donne le maggiori vittime di questa sindrome, ricercandone spesso le radici in storie di infanzia violenta, in cui l’assunzione della malattia assurge a privilegio d’amore, ma anche a carattere punitivo rispetto alle colpe del passato. Molti episodi di tentativi di contagio volontario avvengono anche nel mondo omosessuale, laddove dinamiche autolesive, difficilmente realizzabili attraverso pratiche suicidarie dirette, si riversano nell’acquisire una malattia dilazionando i tempi, nonchè placando l’evidente angoscia attraverso un contenitore condiviso con il partner.

Riconoscere questa patologia risulta difficile, da parte di entrambi i soggetti, per cui spesso sono soltanto gli altri significativi intorno alla coppia a poter individuare un disagio, ed eventualmente indirizzare almeno un componente della coppia verso una terapia che possa portare a mentalizzare e metabolizzare l’entità devastante di tale disturbo.

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