Batteri multiresistenti: cosa sono,
quali le cause e cosa fare
E’ stato valutato che in media il 5% dei pazienti ospedalizzati contrae una infezione durante il ricovero e dal 7% al 9% dei pazienti ricoverati ad un dato momento è infetto. Nei Paesi della Unione Europea, circa 25.000 pazienti muoiono annualmente come conseguenza di infezioni da germi multiresistenti, con un costo associato di 1,5 miliardi di euro (ECDC/EMEA Joint Working Group. In Italia sono stimati 5000-7000 decessi annui riconducibili ad infezioni nosocomiali, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro.
COSA SONO I BATTERI – “I batteri multi-resistenti sono microrganismi particolarmente forti – spiega Antonio Chirianni dell’Azienda Ospedaliera Domenico Cotugno Napoli, nonché vicepresidente della Simit, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali – contro cui gli antibiotici attualmente in uso sono quasi inefficaci. In Italia, le infezioni sostenute da tali germi rappresentano una vera e propria emergenza sia per la valenza clinica (elevata mortalità ed associazione con numerose complicanze) sia per l’alta incidenza. Un rapporto dell’European Center for Diseases Control (Ecdc) del dicembre 2014 designa al nostro Paese il non invidiabile primato di essere nella fascia con la più alta percentuale di batteri multi-resistenti”.
LE CAUSE – Ciò è dovuto all’utilizzo spesso inappropriato degli antibiotici (somministrazione in corso di infezione virale e non batterica, dosi troppo basse o per periodi di tempo troppo limitati, ecc.) I batteri multi-resistenti sono generalmente la causa prevalente delle infezioni contratte in ambito ospedaliero e nelle strutture residenziali per anziani o per malattie croniche, sebbene sono ora sempre più frequentemente riscontrabili anche in ambito comunitario. Al momento la ricerca non ha prodotto nuove molecole innovative in grado di risolvere tutti i problemi della multi-resistenza. L’Organizzazione mondiale della sanità ha pertanto stimolato l’industria ad impegnarsi per trovare nuovi agenti anti-infettivi.
COSA FARE – “E’ importante – prosegue Chirianni – migliorare l’appropriatezza nell’uso degli antibiotici e l’osservanza delle misure di prevenzione, come quelle di igiene e lavaggio delle mani, che devono diventare una misura quotidiana. Tale situazione potrebbe altresì migliorare grazie a misure più severe di “infection control”, ovvero istaurando un forte coordinamento fra tutte le figure professionali coinvolte nel problema delle infezioni. Fondamentale è il ruolo dell’infettivologo, che deve diventare una figura di riferimento per tutto l’ospedale e di tutto il sistema, ma anche il Governo, insieme alle altre figure coinvolte dei farmaci antimicrobici. Necessaria è anche una riorganizzazione della rete dei laboratori di microbiologia per rispondere meglio alle esigenze di assistenza ed erogare un servizio con maggiore continuità temporale (ad es. con l’attivazione di turni festivi), che produca risultati più accurati ed anche più tempestivi, in modo da garantire ai pazienti la massima continuità assistenziale.