Il divorzio fa male al cuore:
aumenta il rischio cardiaco
Secondo uno studio della Duke University, pubblicato sulla rivista Circulation, condotta su oltre 15 mila persone, si evidenzia che anche il divorzio, al pari della morte di una persona cara, rappresenta un fattore di rischio cardiaco.
Nella ricerca, condotta tra il 1992 e il 2010, si è evidenziato come circa una persona su tre aveva divorziato almeno una volta, e che le donne che avevano divorziato manifestavano il 24% in più di probabilità di avere un attacco cardiaco rispetto a quelle rimaste sposate. La percentuale lievita al 77% per le pluridivorziate.
Chiudere un rapporto, sancito simbolicamente attraverso un vincolo matrimoniale, prevede l’elaborazione di ciò che a tutti gli effetti rappresenta un vero e proprio lutto. A fronte di una separazione, ciò che sortisce maggiore impatto riguarda sicuramente il riassetto della routine quotidiana, ancorata a capisaldi ben definiti all’interno della coppia, che per quanto disfunzionali rappresentano le coordinate di vita per l’individuo. Inoltre, la trafila burocratica, anch’essa volta a sancire la fine, stavolta, dell’unione, interviene in maniera radicale nella ridefinizione dei processi, durante il quale avvengono cambiamenti e perdite che coinvolgono tutte le aree della vita dell’individuo.
Di fondamentale importanza, i motivi sottesi alla separazione tra i coniugi. Come riportato dal Centro Studi Ami (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani) nel 2012 il 60% dei matrimoni è finito in Tribunale dopo la scoperta del tradimento del coniuge, elemento fortemente destabilizzante, in quanto la già difficile complessità relazione all’interno della coppia, viene interrogata dall’irruzione di altri significativi nelle dinamiche duali.
Il corrispettivo psicosomatico coinvolge prevalentemente chi viene lasciato? La sofferenza è sempre riconducibile ad entrambi i coniugi, elaborato e affrontato da entrambi, seppure con modalità e tempistiche differenti. Chi lascia, generalmente, sviluppa malessere per un tempo prolungato, su cui incombono elementi pregnanti quali il senso di responsabilità, la colpa per la sofferenza causata al coniuge, nonchè il fallimento personale. Per chi viene lasciato, il vissuto abbandonico, nonchè quello associato ad un rifiuto, possono portare ad una elaborazione più lenta, successiva alla separazione.
Quali dunque le differenze sostanziali tra uomini e donne? La donna generalmente reagisce attraverso dinamiche depressive, legate alla messa in discussione di sè, nonchè alla perdita di autostima. Ciò può portare allo sviluppo di patologie fisiche, frutto di una maggiore vulnerabilità rispetto all’evento traumatico. L’uomo, legato a dinamiche proprie di rabbia e aggressività, tende generalmente a rivolgere all’esterno il proprio malessere, non introiettandolo così come avviene per la donna.
La coppia, dunque, unita da un legame formalmente indissolubile, può trovare la propria ridefinizione soltanto nell’acquisizione soggettiva della propria individualità, al fine di sviluppare dinamiche funzionali di tutela della propria persona, nonché salvaguardia dell’unione vissuta, la quale, lasciando un ricordo positivo, può rappresentare la spinta per rielaborazioni sempre più mature e consapevoli.