“Così ho combattuto la malattia
con la medicina non convenzionale”
Una mattina del mio sedicesimo anno di età, mi svegliai con una strana sensazione di vertigine e di nausea che né io né la mia famiglia prendemmo in grande considerazione. Attribuimmo quei sintomi all’influenza che in quel periodo imperversava. Dopo una settimana circa l’evento si ripeté, ma in questo caso la sintomatologia diventò più incisiva e si unì ad uno scarso equilibrio durante la deambulazione. Fissammo un appuntamento con il medico di base, che dopo una visita generale, ci disse che si trattava di intossicazione e che tutto sarebbe passato nel giro di qualche giorno.
Poiché avevo notato che ogni volta che assumevo un analgesico per il mal di testa poi stavo male, mi convinsi che veramente si poteva trattare di un’intossicazione. Con il tempo però gli episodi di emicrania, nausea e vertigine diventarono più frequenti, tanto che a scuola (frequentavo il secondo anno di liceo), dovevano chiamare la mia famiglia per farmi venire a prendere, poiché la sintomatologia via via più evidente non mi faceva stare più in piedi ed era anche associata al vomito “verde”.
Nessun medico sapeva dare spiegazioni a questi sintomi, così mio padre, stanco e spaventato, si rivolse ad un famoso Neurologo, richiedendo una visita privata. Questo professionista, appena mi visitò, mi fece subito ricoverare d’urgenza in ospedale, per fare accertamenti.
Dopo numerose TAC, Risonanze magnetiche, Rachicentesi (tutte allora a pagamento), mi diagnosticò una Sclerosi Multipla, che denominò per non spaventarci, vista la mia giovane età e l’apprensione dei miei genitori, Sindrome Cerebrale Atassica Acuta, che poi scoprimmo essere una Sclerosi Multipla.
All’inizio fu come se la diagnosi non mi riguardasse, anche perché le flebo di cortisone che mi somministravano, avevano totalmente fatto scomparire la mia sintomatologia. Ma questo fu solo un effetto temporaneo. La mia salute diventava man mano sempre più precaria e mi iniziai a muovere sempre con più difficoltà: all’età di 21 anni mi assegnarono l’invalidità del 100% con diritto all’ accompagnamento..
Il desiderio di capire di più la mia malattia, di cui nessun medico mi sapeva spiegare le cause di insorgenza, insieme a quella di poter aiutare altre persone nella mia stessa condizione, mi spinse ad iscrivermi alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Studiando scoprii che il cortisone con cui mi curavo mi faceva abbassare l’immunità e che, insieme ad altri farmaci Immunosoppressivi, contribuiva a rendere la mia salute sempre più precaria. Avevo anche assunto farmaci B.-bloccanti, che mi davano effetti collaterali, evidenti soprattutto sulla pressione.
Dal punto di vista psicologico ero molto depressa: pur essendo una sportiva, non riuscivo più a sciare, a giocare a tennis, non riuscivo più a suonare il pianoforte in maniera decente (frequentavo il Conservatorio G. Verdi) , non riuscivo persino a camminare senza appoggiarmi a qualcuno o qualcosa. Ma non potevo accettare di essere ammalata
Intanto, come studentessa di Medicina, frequentavo il reparto di Neurologia dell’Ospedale “L. Sacco” e imparai a vedere come i pazienti con Sclerosi Multipla dovevano sottoporsi ad esami ed a terapie, a mio parere, molto crudeli poiché abbassavano sempre più il livello di autosufficienza di pazienti già così debilitati dalla malattia.
LA SVOLTA: LE CURE COMPLEMENTARI
Proseguii i miei studi frequentando medicina energetica (omeopatia unicista), nonostante mi venisse detto dai miei medici che erano specialità che potevano al massimo solo migliorare patologie semplici come l’influenza.
In realtà mi resi conto sempre di più di quanto le terapie allopatiche, a lungo termine, peggioravano la mia situazione di salute in quanto producevano tossine che indebolivano il mio intestino, producevano una ipercontrazione dei muscoli soprattutto delle gambe, una vista sempre più debole.
Così presi la decisione di iniziare a sperimentare terapie complementari, non riconosciute dalla medicina ufficiale: idrocolonterapie, diete alcaline, somministrazione di farmaci drenanti e di Biorisonanza, che assumo anche ora. Queste terapie, seppure inizialmente mi portavano stanchezza e a volte nausea, nel tempo mi facevano stare sempre meglio.
Così pian piano mi ritrovai a stare meglio: avevo scelto di avere uno studio anche in Puglia e a capire sempre di più l’importanza delle terapie complementari e a scoprire che le terapie allopatiche che avevo condotto fino ad allora mi avevano solo ridotto le difese e mi avevano procurato solo o quasi, effetti collaterali veramente importanti.
Continuai i miei studi con l’omotossicologia, la Pnei e la medicina funzionale, seguii convegni sulla corretta alimentazione, sull’equilibrio acido-basico, sui metodi per aumentare la salute e sul benessere. Avevo anche preso l’abitudine di fare ginnastica 1-2 volte a settimana. Nel 1997 mi abbassarono l’ invalidità dal 100% al 67%. Lo stupore dei miei grandi medici sui miei progressi fu tanto, ma nessuno volle indagare sulle terapie che avevo effettuato poiché, a loro giudizio, prive di qualsiasi effetto.
Invece io, forte dei miei studi e soprattutto della mia esperienza personale, desidero diffondere l’idea che la medicina ufficiale vada affiancata a cure non convenzionali, che stimolano l’energia, la voglia di vivere, la capacità di tornare a camminare e fare sport, restituendo quasi completamente l’efficienza fisica.
Ora vorrei che la mia storia diventasse un simbolo per quelle persone che credono di non avere speranza, che si fidano di diagnosi e di prescrizioni spesso non approfondite e non personalizzate. Ogni paziente è unico e diverso ed ha bisogno di un trattamento speciale. Pensiamoci, ne va della nostra salute.