Tutti i “falsi miti” sul super-farmaco
contro l’epatite C
“È indispensabile riallineare aspettative dei pazienti e politiche sanitarie alle reali prove di efficacia del ‘super-farmaco’ contro l’epatite C e definire le priorità di trattamento secondo criteri di costo-efficacia”. Sono scettici gli esperti della Fondazione Gimbe sul sofosbuvir, sul sofosbuvir, il primo ‘super’ farmaco contro l’epatite C, dal costo alle stelle.
A evidenziare tutti i dubbi è un documento che – dopo le polemiche di questi giorni fra Aifa e Regione Toscana sull’accesso ‘allargato’ al medicinale – invita a “valutare con sano scetticismo e adeguato rigore metodologico tutte le innovazioni farmacologiche e tecnologiche evitando, sull’onda di un contagioso entusiasmo, di enfatizzare i benefici e minimizzare i rischi degli interventi sanitari”.
Con l’obiettivo di “informare correttamente professionisti e pazienti”, il position statement ‘Efficacia e costo-efficacia del sofosbuvir nel trattamento dell’epatite C’ evidenzia “alcune criticità metodologiche relative alla robustezza delle prove di efficacia, oltre che all’entità e alla precisione dei benefici del farmaco”. Criticità che emergono dall’analisi degli studi che hanno valutato l’efficacia dell’anti-epatite C, nessuno indipendente.
Dunque, secondo gli esperti di Gimbe, “il sofosbuvir costituisce una rilevante innovazione terapeutica, ma le evidenze disponibili documentano solo che il farmaco è efficace nel determinare una risposta virologica sostenuta in una percentuale che raggiunge il 90% in alcuni – ma non in tutti – sottogruppi di pazienti”.
“Assimilare la risposta virologica sostenuta nel singolo paziente all’eradicazione del virus C dalla popolazione – si sottolinea – è una suggestiva, ma inverosimile, strategia di sanità pubblica. Considerato che la mortalità nei pazienti con epatite C è molto bassa e che nessuno studio ha dimostrato che il sofosbuvir riduce la mortalità, il termine ‘farmaco salvavita’ è improprio e non dovrebbe più essere utilizzato”.
“La storia naturale dell’epatite C e le prove di efficacia disponibili – afferma la Fondazione Gimbe – non giustificano in nessun contesto sanitario, indipendentemente dalla disponibilità di risorse, una policy che preveda il trattamento di tutti i pazienti con epatite C, con l’obiettivo di prevenire l’evoluzione dell’epatite cronica in cirrosi, lo scompenso della cirrosi, lo sviluppo dell’epatocarcinoma, i trapianti di fegato e la mortalità”.
Per gli esperti, “in assenza di prove di efficacia dirette sulla capacità del sofosbuvir di rallentare l’evoluzione dell’epatite C, scommettere sui potenziali risparmi per l’assistenza sanitaria è puramente speculativo e non supportato da alcun dato scientifico”.
Queste conclusioni si basano sulla valutazione che “tutti gli studi che hanno valutato l’efficacia del sofosbuvir sono stati finanziati, progettati e realizzati dall’azienda produttrice Gilead Science e, al momento, non esiste alcuno studio indipendente; non conosciamo il reale valore aggiunto del farmaco rispetto a un confronto appropriato; alcuni studi presentano limiti metodologici rilevanti (controlli storici, assenza di blinding)”.
“Tutti hanno utilizzato come misura di esito un ‘end-point’ surrogato, ovvero la risposta virologica sostenuta al di sotto della soglia minima identificabile a 24 o a 12 settimane dalla sospensione del farmaco. Questa non garantisce l’eradicazione del virus dal sangue (che resta solo al di sotto della soglia minima), né permette di identificare la persistenza del virus nei tessuti. Per alcuni sottogruppi di pazienti la stima dell’effetto del trattamento è incerta a causa della loro limitata numerosità campionaria. Non esistono prove di efficacia dirette su ‘outcome’ clinicamente rilevanti: evoluzione dell’epatite in cirrosi, scompenso della cirrosi, insorgenza di epatocarcinoma, mortalità. Non è nota la probabilità di re-infezione nei pazienti che hanno ottenuto una risposta virologica sostenuta. Non conosciamo gli effetti avversi, oltre che la compliance, nel mondo reale”, conclude Gimbe, per cui “definire le priorità di trattamento in relazione alla costo-efficacia del sofosbuvir nei vari sottogruppi di pazienti rappresenta oggi l’unica soluzione accettabile dal punto di vista clinico, etico ed economico”.