Innovazione farmacologica:
in Italia si vive di più e meglio
Appena 20 anni per dimezzare il numero di persone che muoiono per malattie cardiocircolatorie o dell’apparato digerente, ridurre del 30% il tasso di mortalità generale della popolazione e vedere aumentato di circa 1,5 milioni il numero degli italiani over 65 che si dichiarano in buona salute. Molte malattie che fino a poco tempo fa non davano scampo, oggi sono patologie croniche con le quali si può convivere a lungo.
Sono solo alcuni degli straordinari successi ottenuti in questi anni dalla ricerca e dall’innovazione farmacologica. E il futuro si profila altrettanto incoraggiante. Attualmente in tutto il mondo vi sono oltre 7.000 nuovi farmaci in sviluppo. Di questi, ben 1.813 sono destinati al trattamento dei tumori. Oltre 900 i farmaci e vaccini biotech in sviluppo, con possibili benefici per più di 100 patologie.
Ma in Italia, tra ostacoli burocratici, ritardi amministrativi, percorsi autorizzativi tortuosi, l’innovazione farmaceutica non ha vita facile.
Il settore farmaceutico in Italia rappresenta però un’eccellenza industriale come dimostra il record mondiale di crescita dell’export tra il 2010-2014 e offre un rilevante contributo alla Ricerca, nelle sue diverse fasi, con il 17,2% di partecipazione ai protocolli di sperimentazione clinica in ambito UE.
Per conoscere sempre più il valore di un settore altamente tecnologico, innovativo e importante per l’economia del Paese, aziende, ricercatori e pazienti incontrano oggi il mondo dell’informazione nel Corso di Formazione Professionale Concetti e linguaggi dell’innovazione farmacologica, promosso dal Master di comunicazione scientifica della Sapienza ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’, con il supporto della Fondazione MSD.
Uno dei nodi critici quando si parla di innovazione farmacologica è la complessità del processo che conduce alla scoperta di nuove terapie: lo sviluppo di una molecola che arriva al paziente comporta circa 10-15 anni di studi e ricerche e un investimento pari a oltre 2,5 miliardi di euro; solo una sostanza su 10.000 arriva al paziente e solo 2 farmaci su 10 ammortizzano i costi.
«Nell’innovazione stiamo vivendo una “nuova primavera”, con farmaci per molte importanti patologie, quali l’epatite C e diverse forme tumorali. La Ricerca è sempre più orientata al biotech e alla medicina personalizzata che non rappresentano solo il futuro ma anche il presente. Senza dimenticare che l’innovazione è anche incrementale e permette continui miglioramenti nella qualità della vita e costanti progressi in termini di efficacia del trattamento, riduzione di effetti collaterali e facilità d’uso», afferma il Presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi.
Strettamente legato a questo tema è il problema dell’accesso dei pazienti alle nuove terapie, i cui costi devono retribuire gli ingenti investimenti necessari per svilupparle. Tuttavia, la sostenibilità non dovrebbe considerare solo il costo del farmaco ma anche i risparmi generati per il Welfare grazie alle malattie curate o evitate.
«I farmaci innovativi che nei prossimi anni arriveranno sul mercato renderanno sempre meno sufficienti le leve con cui finora è stata governata la spesa farmaceutica pubblica», afferma Luca Pani, Direttore Generale AIFA. «Di fronte alla rivoluzione di portata epocale che sta riguardando il mondo dei farmaci, i sistemi di salute pubblica vanno riconsiderati complessivamente, in un’ottica integrata e sempre meno localistica».
«L’innovazione farmaceutica ha ricadute su tre dimensioni; il valore terapeutico-sanitario, ovvero la possibilità di trattare o trattare meglio determinate malattie; il valore sociale, ovvero i vantaggi generali in termini di salute pubblica e qualità di vita della popolazione; e il valore economico, vale a dire la crescita del sistema Paese, gli investimenti di qualità, l’occupazione», afferma Daniela d’Angela, Responsabile area ‘HTA, dispositivi medici e PDTA’ CREA Sanità, dell’Università di Roma Tor Vergata.
I dati delle Associazioni dei pazienti confermano che l’accesso ai farmaci innovativi è ancora oggi un percorso ad ostacoli: costi privati, burocrazia, tempi di accesso troppo lunghi, con 9 passaggi dopo l’autorizzazione EMA, difformità tra le Regioni e scarso coinvolgimento delle associazioni nelle scelte che li riguardano. «Il 56% dei pazienti cronici non ha accesso alle terapie innovative: l’innovazione è frenata dalla burocrazia, ancora più complicata quando dal livello nazionale si passa ai Servizi Sanitari Regionali, che hanno procedure e tempi completamente diversi», afferma Antonio Gaudioso, Segretario Generale di Cittadinanzattiva.
La sfida della sostenibilità, secondo l’AIFA e le Associazioni, si può vincere solo uscendo dall’ambito nazionale per guardare all’Europa: servono nuove strategie per definire criteri di autorizzazione, di prezzo e rimborsabilità validi a livello europeo; mentre per coinvolgere i pazienti bisogna ispirarsi alle esperienze positive realizzate in Europa di partecipazione dei cittadini alle attività regolatorie e alle scelte basate sull’uso razionale delle risorse e su una chiara definizione del concetto di innovazione. Ma occorre intervenire presto, perché solo l’innovazione farmacologica può dare risposte alle grandi sfide presenti e future che devono essere vinte per difendere la salute dei cittadini, come ad esempio le infezioni correlate all’assistenza (ICA) e le malattie rare.
«Soltanto negli Stati Uniti e in Europa ogni anno si registrano circa 50.000 morti a causa di un’infezione batterica multiresistente. Le ICA e le resistenze sono un’emergenza mondiale cui dobbiamo fare fronte anche in Italia», afferma Claudio Viscoli, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Università di Genova (DISSAL) e IRCCS AOU San Martino-IST, Genova. Governi e Istituzioni devono intraprendere forti azioni incrociate per contrastare questa drammatica e pericolosa emergenza sanitaria che se non fermata, nel 2050 potrebbe provocare 10 milioni di vittime l’anno. E il successo dipenderà dalle terapie antibiotiche innovative.
«L’introduzione di nuovi farmaci può essere importante per i pazienti infetti, con un quadro clinico severo, che non rispondano alle terapie ad oggi disponibili. Inoltre l’innovazione in questo ambito potrebbe ridurre i costi di gestione legati alle infezioni ospedaliere, permettendo di ridurre la durata delle degenze e la necessità di isolamento» afferma Maria Teresa Cuppone, Direttore Sanitario dell’IRCCS Policlinico San Donato.
Ma il valore dell’innovazione si misura non solo sulle grandi emergenze ma anche sui piccoli numeri. «L’innovazione per le malattie rare, che spesso sono anche malattie orfane e poco conosciute, ha un grandissimo valore: l’aspettativa dei pazienti per ogni novità che emerge dagli studi clinici è altissima e i media hanno un ruolo fondamentale per far conoscere questo mondo invisibile», afferma Renza Galluppi Barbon, Presidente di UNIAMO, Federazione Italiana Malattie Rare onlus.
Nel campo delle malattie rare, l’innovazione è però resa difficile dalla frammentazione dei pazienti: «La ricerca sulle malattie rare, caratterizzate da piccoli numeri con pazienti dispersi tra vari centri spesso di Paesi diversi, pone problemi specifici in quanto i dati clinici sono frammentati e disomogenei: è necessario mettere a punto modelli innovativi per studiare queste patologie, migliorando la gestione e l’organizzazione degli studi clinici», afferma Domenica Taruscio, Direttore Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità.Ma alla luce di questo scenario, quali strade dovrebbero seguire i media per comunicare il valore dell’innovazione? Due i criteri suggeriti: rigore scientifico ed empatia. «La comunicazione responsabile dell’innovazione presuppone lo scrupoloso controllo delle fonti e la misurazione dell’effettiva portata delle scoperte, verificando direttamente gli studi pubblicati che ne sono alla base, valutando l’impact factor della pubblicazione, controllando l’efficacia rispetto alle terapie in uso e la portata degli effetti indesiderati» afferma Francesco Brancati, Presidente Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione.
L’altro criterio è quello di rimanere ancorati alla storia clinica dei pazienti, per raccontare i progressi senza alimentare illusioni. «Quello che spesso manca oggi nell’informazione sulla medicina è proprio il momento centrale, ovvero il racconto della clinica, il percorso lungo, doloroso e a volte tragico che conduce il malato attraverso la sua passione, perché è solo su quel terreno che si misura la reale portata dell’innovazione farmacologica» sostiene Daniela Minerva, giornalista de L’Espresso. «Ci si concentra molto sulla ricerca pre-clinica e sulle prime fasi delle sperimentazioni, ma l’innovazione terapeutica che vale la pena di raccontare è però quella che cambia la condizione umana».
«Siamo orgogliosi di promuovere questo incontro – conclude Goffredo Freddi, Direttore della Fondazione MSD – che rafforza la nostra partnership con il Master ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’ per una divulgazione scientifica chiara, semplice, ma mai banale: l’essenza del giornalismo inteso come strumento di democrazia, di diffusione delle conoscenze e di crescita culturale».