Ricerca italiana presentata al congresso Sigr

Tatuaggi e piercing, rischio infezioni
e danni al fegato per i giovani

di oggisalute | 24 giugno 2015 | pubblicato in Attualità
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Tatuaggi e piercing sono sempre più amati dai giovanissimi, una tendenza che non teme crisi ma che, considerate ‘pratiche ornamentali’, sono talvolta effettuate con leggerezza. Una recente ricerca condotta dall’Università di Tor Vergata su 2500 studenti liceali coinvolti con questionario anonimo, ha rilevato come il 24% di essi abbia avuto complicanze infettive; solo il 17% ha firmato un consenso informato; e uno scarno 54% è sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati.

Scopo della ricerca è quello di informare gli adolescenti che l’esecuzione di ornamenti estetici in locali non certificati senza rispetto delle norme igieniche, oppure pratiche fai da te con strumenti artigianali inadeguati, possono essere veicoli di trasmissione di malattie infettive, per via ematica. In particolare, ad esempio, quelle prodotte dal virus dell’epatite B e C – HBV e HCV – e dal virus dell’AIDS – HIV -, che a volte sono causa di morte; inoltre, da recenti studi scientifici, è stato rilevato come l’inoculazione nella cute di sostanze chimiche non controllate costituisca un rischio di reazioni indesiderate di tipo tossicologico o di sensibilizzazione allergica.

“Se l’80% dei ragazzi ha affermato di essere a conoscenza dei rischi d’infezione, solo il 5% è informato correttamente sulle malattie che possono essere trasmesse” spiega la dottoressa Carla Di Stefano, autrice dell’indagine e ricercatrice all’Università di Tor Vergata “Eppure il 27% del campione ha dichiarato di avere almeno un piercing, il 20% sfoggia un tatuaggio e sono ancora di più gli ‘aspiranti’: il 20% degli intervistati ha dichiarato l’intenzione di farsi un piercing e il 32% di ornare la pelle con un tatuaggio”.

L’epatite virale è un’infiammazione del fegato causata dall’infezione, silente o sintomatica, da parte di alcuni virus tipici del tessuto epatico ma solo alcuni di essi – HBV, HCV, HDV – possono stabilirsi nell’organismo in modo persistente, causando danni cronici al fegato. Nella forma acuta, la malattia si manifesta con disturbi di tipo influenzale, spesso asintomatico, mentre nella sua forma cronica, l’infiammazione permanente del tessuto epatico è dovuta all’incapacità del sistema immunitario di eliminare il virus epatitico. Inoltre, nella metà circa dei pazienti l’infezione cronica causa lesioni progressive del fegato e una parte di questi pazienti può sviluppare la cirrosi – o cicatrizzazione del fegato. L’Italia detiene la maglia nera rispetto alla media europea che si aggira tra lo 0,1 e l’1% della popolazione con un tasso d’incidenza variabile tra il 2-3% e 1milione 200mila persone affette dal virus in forma cronica. Sempre nel nostro Paese, la cirrosi è la quinta causa di morte con circa quindicimila decessi l’anno e oltre seimila sono i pazienti che muoiono per carcinoma del fegato.

Proprio In questi giorni, molti studiosi hanno puntato i riflettori sullo studio – ”Association of tattooing and hepatitis C virus infection: a multicenter case control study” – pubblicato sulla rivista Hepatology, dove si dimostra come l’infezione da HCV principalmente si trasmetta attraverso a) il riutilizzo di aghi monouso, b) la non sterilizzazione di materiali, c) il riutilizzo d’inchiostro contaminato con sangue infetto. “Il dato scientificamente più interessante” commenta la Di Stefano “sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell’inchiostro, variabile da pochi giorni nell’ambiente a quasi un mese nell’anestetico: dato ancor più preoccupante se incrociato con la scelta degli adolescenti verso locali spesso economici e non a norma di legge”.

“Per quello che riguarda tatuaggi e piercing non ci sono casistiche da procedure effettuate in studi professionali ma il rischio aumenta quando tali procedure vengono eseguite talora da principianti, in strutture con scarse condizioni igieniche e sterilità degli strumenti o con strumenti improvvisati – corde di chitarra, graffette o aghi da cucito – ma anche nelle carceri o in situazioni non regolate come l’ambiente domestico” interviene il professor Vincenzo Bruzzese, presidente Nazionale del Congresso della SIGR dove è presentata la ricerca.

“In conclusione, a partire dalla fine degli anni ’90”, avverte infine la dottoressa Carla Di Stefano “questo problema è stato più volte messo in evidenza in Italia attraverso i dati della Sorveglianza delle epatiti virali acute – la Seieva. Recentemente è stato stimato che nel nostro Paese una quota di casi di epatite C acuta superiore al 10% è attribuibile ai trattamenti estetici; inoltre, una volta esclusi i tossicodipendenti dall’analisi, si può stimare che coloro i quali si sottopongono a un tatuaggio hanno un rischio 3,4 volte più alto di contrarre l’epatite C rispetto a chi non ci si sottopone. Analogamente, per quanto riguarda il piercing, il rischio di contarrre l’epatite C è 2,7 volte maggiore rispetto a chi non se lo fa applicare”.

Dai dati dei ricercatori italiani presentati al 2° Congresso Nazionale SIGR emerge quindi la necessità di un maggiore sforzo per incoraggiare l’utilizzo di materiale monouso e la corretta sterilizzazione degli strumenti utilizzati durante queste procedure, aumentandone il monitoraggio. Informare con continuità che il far ricorso a strutture temporanee, come quelle che compaiono durante i mesi estivi nelle località balneari, aumenta il rischio di contagio perché si tratta di situazioni svincolate dai normali controlli. Per questi motivi, si evince la necessità, da parte degli addetti ai lavori, di promuovere interventi di educazione alla salute già nella scuola secondaria di primo grado.

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