In Italia oltre 4 mila persone
sono nate col sesso “sbagliato”
“Nascere nel sesso diverso da quello a cui si sente di appartenere: la disforia di genere (DIG) è una condizione in cui la persona ha una forte e persistente identificazione nel sesso opposto a quello biologico: uomini che si sentono donne o donne che si identificano nel genere maschile. La frequenza è maggiore nell’uomo: il rapporto è di 3 a 1, con una prevalenza di 1 su 10/12.000 maschi e di 1 su 30.000 femmine. La disforia di genere è difficilmente compresa sia perché viene confusa con il travestitismo o viene legata a contesti quali la prostituzione o la tossicodipendenza con cui nulla ha in comune”, afferma Roberto Castello, direttore di Medicina Generale a Borgo Trento, Verona e Responsabile Scientifico del Convegno “Disforia di genere” che si svolgerà sabato, 12 settembre, a Verona e che ha chiamato a raccolta specialisti quali psichiatri, psicologi, endocrinologi, chirurghi, andrologi, ginecologi, urologi, avvocati e una rappresentanza di chi vive questa condizione, per un confronto che arricchisca le conoscenze scientifiche, cliniche e umane.
Il convegno è promosso da AME, Associazione Medici Endocrinologi, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona, dall’OMCEO VR Ordine dei Medici della provincia di Verona e dal Comune di Verona.
“La disforia di genere non è più considerata come disturbo mentale della sfera sessuale (comparve nel 1980 nel DSM, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali); infatti il problema dell’essere “trans genere” non è un problema di sessualità o di preferenze sessuali, quanto quello di riuscire a dare una risposta alla domanda “chi sono io? Qual è la mia identità?” aggiunge Castello. L’obiettivo delle persone con DIG è quello di sottoporsi a terapie mediche e chirurgiche irreversibili, precedute da un’indispensabile e accurata diagnosi che identifichi gli interventi più appropriati”.
“I problemi nell’identità di genere appaiono, generalmente, già nei primi 5 anni di vita cogliendo i genitori del tutto impreparati anche solo a considerare e accettare qualcosa che faticano a comprendere – spiega Ilaria Ruzza, coordinatrice SAT, Servizio Accoglienza Trans di Verona -. Il piccolo, o la piccola, si troverà solo a combattere contro le aggressioni dei compagni di giochi e, subito dopo, contro il bullismo a scuola. Naturalmente sarà con l’adolescenza e con le prime pulsioni sessuali che la persona comprenderà di essere nata in un corpo sbagliato. Oggi sono molti i genitori che arrivano al nostro centro per avere informazioni e orientamento e che diventano il primo e convinto supporto della persona transessuale, anche se, ancora oggi, i casi di emarginazione non mancano. I problemi sono poi esacerbati da una società non ispirata a criteri di inclusività e rispetto, oltre che da lungaggini burocratiche che vedono in 5 anni il tempo medio necessario ad ottenere un cambio anagrafico. Sono 5 anni difficili in cui qualsiasi cosa, anche il ritiro di una raccomandata in Posta, costringe la persona a dover spiegare la non corrispondenza tra il destinatario della raccomandata e la persona che si presenta per il ritiro, con evidente conflitto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Anche la ricerca di un lavoro è ostacolata da queste lungaggini e l’Italia, contrariamente a quanto succede in altri Paesi, non consente di avere un cambio anagrafico all’inizio del processo” conclude Ilaria Ruzza.
In questo contesto, “un’importante novità è la recentissima sentenza della Cassazione (15138 del 20 luglio 2015) che stabilisce la non obbligatorietà della procedura chirurgica di modifica dei caratteri sessuali ai fini del riconoscimento del diritto alla rettifica anagrafica – afferma Giovanni Guercio, avvocato patrocinante in Cassazione, Solicitor of England&Wales a Roma – . Importante obiettivo per le persone transessuali, che evidentemente apre nuovi e inesplorati problemi medico-legali, ma coerente con il concetto di salute dell’Organizzazione Mondiale della Salute che, nell’affermare che ‘la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia’, considera la salute più un mezzo che un fine. Il carattere ‘utopistico’ di tale definizione è chiaro e condivisibile in quanto descrive una situazione di completa soddisfazione e felicità che forse non può essere mai raggiunta, ciononostante costituisce un punto di riferimento verso il quale orientare i propri sforzi” conclude Guercio.
“L’iter che porta al raggiungimento di un aspetto fisico considerato più coerente con il proprio vissuto richiede un approccio multidisciplinare”, chiarisce Ferdinando Valentini, responsabile UOS Neuroendocrinologia, Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini a Roma, nel quale lavorano in sinergia psicologi, psichiatri, endocrinologi, urologi, ginecologi e medici chirurghi, con l’obiettivo di portare a un sensibile e significativo miglioramento della qualità di vita della persona transessuale. “Il primo intervento – dice – è rappresentato dal consulto iniziale con lo psichiatra e lo psicologo che valutano la fondatezza e l’autenticità delle motivazioni; segue quindi la fase di cambiamento accompagnata da interventi di tipo farmacologico e, successivamente da quella chirurgica”.
“La terapia chirurgica – spiega Carlo Trombetta, direttore della Scuola di Specializzazione Urologica a Trieste – nella conversione gino-androide prevede fasi temporali diverse, con interventi di chirurgia demolitiva e poi ricostruttiva che tengono conto anche delle variegate esigenze dei pazienti. Viceversa nell’intervento andro-ginoide tutto si svolge in un tempo unico (della durata circa 5 ore). L’intero percorso è coperto e riconosciuto dal SSN, anche se per i pazienti non mancano le difficoltà legate alla scarsità di centri dedicati. Da diversi anni comunque alcuni centri italiani sono in grado di garantire quel livello di eccellenza che, storicamente, era più facile trovare all’estero”.