Procreazione assistita: quando
desiderio e natura si scontrano
Mente e natura, normalmente dovrebbero in modo comune fondersi costituendo quel sano equilibrio che ci permette di essere donne e mamme, proprio, come l’ordine biologico della vita stabilisce. Purtroppo così spesso non è.
Il periodo ha inizio con la decisione o l’accettazione, da parte della coppia, di avere un figlio. In alcuni casi questo desiderio costituisce il coronamento dell’amore e conseguentemente il sigillo del concetto “famiglia” in una condizione di equilibrio e quiete ma in altri casi può rappresentare l’inizio di un problema o di un percorso carico di ostacoli, fatiche e difficoltà.
In particolar modo la sterilità è una problematica che coinvolge secondo l’Oms il 15-20% delle coppie nei paesi industrializzati, conoscibile in base a diversi fattori: età della donna, malattie a trasmissione sessuale, stress e abitudini nocive come alcool e fumo o cattiva alimentazione, ad esempio nei drastici e frequenti cambi ponderali, ritmi irregolari, inquinamento ambientale e fattori psicologici.
La letteratura fornisce un abbondante ventaglio di diverse ricerche sulle conseguenze psicologiche e sociali delle famiglie che hanno sperimentato e vissuto il concepimento di un figlio in seguito a tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma), la maggior parte degli studi si divide in due parti: da un lato si trovano lavori dedicati a indagare i vissuti della coppia (quasi esclusivamente della donna) durante la gravidanza e dall’altro lato emergono le analisi finalizzate a osservare lo sviluppo dei bambini nati in provetta.
Le ricerche fatte durante la gravidanza Pma testimoniano generalmente una maggiore paura sulla condizione di salute e normalità del feto o della salute della madre nel caso fosse affetta da patologie importanti e in ultima analisi da parte della coppia una difficoltà a considerarsi genitori come tutti gli altri. È proprio vero ciò che Virgilio ci suggerisce “ci si ammala medicando” ciò vuol dire che spesso la coppia incorre in errore e si innamora della propria mente, guardando dall’alto, con occhi altezzosi e diffidenti, le energie primordiali che vivono in essa, dimenticando che vivere e dare vita non è il luogo dei ragionamenti medicalizzati e strumentalizzati ma dei bisogni: i propri. Singolarmente, soprattutto in percorsi come quello della procreazione medicalmente assistita, sembra esserci un’accentuazione degli elementi concreti e somatici a discapito di quelli dei desideri e di origine.
La difficoltà a lasciarsi coinvolgere emotivamente dalla gravidanza e ad immaginarsi madri appare in rapporto al concentrarsi dell’attività immaginativa su concrete preoccupazioni di carattere medico. La maggior parte delle donne – future mamme – ammettono (quasi come colpa) la dolorosa impossibilità di sognare, dichiarando di non aver mai fantasticato sul bambino ma sul concepimento: trascurando che il corporeo strumentalizzato blocca, ingabbia nei pensieri il momento rendendo opaco il desiderio, l’istinto, la spensieratezza del proprio “grembo dell’anima”.
Bisognerebbe imparare a guardare – esclusivamente – l’amore (personale e di coppia) per riuscire a produrre i frutti dell’avventura che si sta vivendo e sapere che ognuno di noi non ha mancanze e che non ottiene alcun risultato interrogandosi, inchiodandosi, o sforzandosi su domande quali: “perché proprio io/noi?” o “quale… il nostro futuro?”.
Attuare una vera e propria evoluzione dell’uomo e della donna. Capovolgere il sovrainvestimento della tecnica di procreazione medicalizzata che accompagna, la donna e la coppia, ad una difficoltà di rappresentazione del nascituro, seppure intensamente desiderato.
La gravidanza, in particolare la prima, è un momento unico e irripetibile per la donna. Passo dopo passo la futura mamma, stando a contatto con se stessa, ascoltando i propri bisogni e desideri, il proprio corpo che cambia (dall’impegnativo percorso delle cure fino alla gravidanza) le proprie sensazioni, i propri squilibri ormonali; accogliendo tutto quello che ha dentro scoprirà emozioni di ogni genere.
La donna e la coppia che con consapevolezza, volontà e orgoglio affronta un percorso di procreazione medicalmente assistita acquista nella propria vita un valore aggiunto. Ha bisogno di vivere la propria esperienza avendo fiducia nelle proprie sensazioni ed emozioni: di essere stimolata e incoraggiata nell’espressione di ciò che sta cambiando dentro di lei e nel rapporto di coppia e di rafforzare il proprio senso di autonomia e di unicità attraverso il confronto con altre donne, altre coppie ed esperti. L’arte di questa evoluzione della donna e dell’uomo è avere sempre ben chiaro quello che è l’obiettivo per poterne visualizzare il percorso, cercando in ogni passo, una nuova scoperta.
Ognuna di queste coppie dovrebbe realizzare che il senso comune e la ricerca di normalità o della naturalezza, possono emergere anche in percorsi come la procreazione assistita. Un po’ come creare un piccolo quadro dipinto a pastello, raffigurante una scena felice e movimentata, che nel momento dell’esposizione venga sorretto da chi ha mani più robuste delle nostre.
Francesca Lecce è psicoterapeuta docente di Psicologia dello Sviluppo