Tumore alla prostata, “sorveglianza attiva” migliora qualità della vita
Ogni anno in Italia circa 10.000 uomini colpiti da tumore alla prostata presentano una neoplasia di ridotte dimensioni e scarsa aggressività. Tutti questi pazienti potrebbero essere sottoposti a sorveglianza attiva che prevede di monitorare la malattia attraverso esami specifici e controlli periodici, in alternativa alle terapie radicali. Con importanti risparmi anche per il servizio sanitario nazionale.
Le ultime novità scientifiche sulla sorveglianza attiva sono state presentate in un media tutorial nell’ambito della terza Conference “Active surveillance for low risk prostate cancer”, un convegno internazionale realizzato dall’European School of Oncology con il supporto della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO).
“Nel nostro Paese ancora troppi uomini con un carcinoma prostatico ricevono cure che possono avere severi effetti collaterali a carico della sfera sessuale, urinaria e rettale – afferma Riccardo Valdagni, presidente della SIUrO -. La sorveglianza attiva rappresenta una nuova opportunità e modifica l’approccio tradizionale che prevede quasi sempre un trattamento radicale dopo la diagnosi del tumore. In alternativa ad essere sottoposto a una delle terapie radicali come chirurgia, radioterapia o brachiterapia il paziente con tumore indolente è sottoposto a esami e controlli periodici. Questa vale per tutta la vita o fino a quando la malattia non modifica le sue caratteristiche iniziali. Se la patologia cambia siamo in grado di interrompere il percorso osservazionale, intervenire tempestivamente e indirizzare il paziente al trattamento”.
La SIUrO promuove la sorveglianza attiva fin dal 2009 quando è iniziato “SIUrO PRIAS ITA”, il più grande studio a livello mondiale che in Italia è coordinato dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Sotto l’egida della SIUrO ha coinvolto 850 pazienti reclutati dieci centri del nostro Paese. “La sorveglianza attiva è riconosciuta da anni nelle più importanti linee guida internazionali e sta sempre più diventando una valida alternativa terapeutica anche in Italia – sottolinea Giario Conti, segretario SIUrO -. Per molti pazienti è difficile accettare l’idea che non si intervenga subito per rimuovere il tumore e di diventare invece un ‘sorvegliato speciale’. Tuttavia solo meno del 2 % degli uomini abbandona il protocollo per motivi di ansia. E’ inoltre dimostrato da diverse ricerche internazionali che la sorveglianza attiva non riduce le possibilità di guarigione né la qualità di vita. E’ quindi fondamentale il lavoro dell’intera equipe multidisciplinare che deve non solo assistere, ma anche rassicurare il malato”.
Il tumore della prostata è la forma di cancro più diffusa tra gli uomini del nostro Paese e solo lo scorso anno ha fatto registrare 35.000 nuove diagnosi. “Nel 60% dei casi la malattia richiede invece un trattamento con le tradizionali terapie come chirurgia, radioterapia e brachiterapia – aggiunge Valdagni -. Solo ai pazienti che presentano caratteristiche ben precise e che costituiscono circa il 40% dei casi può essere proposta la sorveglianza attiva. Il carcinoma deve avere piccole dimensioni e una bassa aggressività biologica. E i pazienti devono essere disposti a seguire scrupolosamente gli esami e le visite di follow-up per monitorare la patologia”. Alla conferenza internazionale di Milano del 12 e 13 febbraio sono presentate anche le prospettive future di questo atteggiamento osservazionale.
“I prossimi punti sui quali possiamo intervenire per perfezionare i protocolli della sorveglianza attiva sono la selezione più accurata dei pazienti, la creazione di un database internazionale per il confronto dei risultati e l’individuazione di metodi di follow-up alternativi e meno invasivi della biopsia – concludono Valdagni e Conti -. E’ fondamentale inoltre rafforzare l’alleanza con i patologi e i radiologi per avere diagnosi sempre più precise. La SIUrO è una società scientifica multidisciplinare che raccoglie al suo interno tutti i diversi specialisti che si occupano di tumore della prostata. Possiamo quindi contribuire a migliorare l’assistenza ai malati. Oggi oltre il 90% degli italiani riesce a sconfiggere la patologia. Il nostro obiettivo deve essere sempre più quello di non compromettere con le cure la qualità di vita della persona dopo il cancro”.