Omicidi nella sanità: la legge sul lavoro poteva evitarli?
A scuotere il mondo della sanità, soprattutto il settore infermieristico è il caso dell’infermiera Fausta Bonino accusata di aver ucciso 13 pazienti all’ospedale di Piombino ed arrestata dai carabinieri del Nas il 31 marzo, ora rinchiusa nella sezione femminile del penitenziario Don Bosco di Pisa.
Questo, però, è solo l’ultimo caso di una lunga serie di omicidi “autorizzati” verificatisi in ambito sanitario; se ne contano in Italia 6 dal ’92 ad oggi, ricordiamo il più recente quello dell’infermiera Daniela Poggiali condannata all’ergastolo per aver ucciso una paziente di 78 anni l’8 aprile 2014 dopo averle iniettato una dose di cloruro di potassio e di cui sono ancora in corso accertamenti su altri 10 morti circa; in tutti i casi si tratta di omicidi plurimi.
Ci si trova difronte a persone con gravi disturbi psichici cui il senso del potere e non del dovere verso l’ammalato ha resi, senza autorizzazione alcuna, arbitri della vita altrui; ricordiamo a tal proposito il caso dell’infermiera Sonya Caleffi che all’ospedale Manzoni di Lecco nel 2004 iniettava bolle d’aria ai pazienti per creare l’emergenza e poi intervenire, risolvendo il caso; confessò di aver ucciso per il “bisogno di sentirmi importante, io praticavo quegli interventi perché mi piaceva che tutti accorressero in tempo a salvare i pazienti”.
La domanda che però viene da porsi è come hanno fatto questi “angeli della morte” così sono stati ribattezzati, ad agire indisturbati iterando il reato senza che nessuno abbia potuto scorgere nei comportamenti un segnale di allarme e, soprattutto, esistono degli strumenti di controllo dello stato psichico degli operatori sanitari affinché non arrechino danni a terzi?
Purtroppo ad oggi la nostra legislazione prevede che la sorveglianza sanitaria sia orientata alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore, non a quella di terze persone che potrebbero essere coinvolte nel caso che il lavoratore non fosse in grado di svolgere i suoi compiti secondo lo standard professionale, infatti nel D.Lgs 81/08, cosiddetto testo Unico sulla salute e sicurezza del lavoro, non vi sono riferimenti a tal proposito. A tutto ciò si aggiunge che il medico competente allo svolgimento della visita di idoneità fisica del lavoratore è sempre tenuto al rispetto del segreto professionale ed alla riservatezza dei dati raccolti nel corso della sorveglianza sanitaria, per cui tale sorveglianza, essendo mirata esclusivamente ai rischi professionali, impedisce al medico competente di fare diagnosi di grave patologia psichiatrica.
Torna quindi a tenere banco il tema della prevenzione con la formazione, con i test psichici ed attitudinali periodici, come avviene per le forze dell’ordine, con l’offerta di possibilità terapeutiche gratuite e riservate, alle quali i lavoratori devono volontariamente accedere prima di causare un danno.
Le verifiche dovrebbero estendersi a tutte le categorie professionali a maggior ragione quelle sanitarie che nella pratica quotidiana si trovano a disporre, anche senza diritto, della vita altrui.