Fibrillazione atriale, crioablazione al Maria Cecilia Hospital
Sono oltre 300 gli interventi di crioablazione che il Maria Cecilia Hospital di Cotignola (Ravenna) – ospedale di alta specialità Gvm Care & Research accreditato con il Servizio sanitario nazionale – esegue ogni anno per curare l’aritmia cardiaca più diffusa al mondo, la fibrillazione atriale. Con questi dati la struttura si conferma tra i centri in Italia e in Europa con il più ampio numero di casi sottoposti a terapia non farmacologica.
“In Europa soffrono di fibrillazione atriale circa 10 milioni di persone: la previsione degli specialisti è di quasi 20 milioni di malati nel 2030, con costi di gestione sanitaria pari a 3.000 euro l’anno a paziente – spiega Saverio Iacopino, direttore dell’Unità di aritmologia ed elettrofisiologia – La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca più diffusa al mondo e porta un aumento del battito che diventa rapido ed irregolare. Può comparire improvvisamente anche in soggetti a cuore sano e impedisce un’efficace contrazione delle cavità atriali, ripercuotendosi sulla funzionalità dei ventricoli e sul flusso sanguigno”.
“La crioablazione è la tecnica alternativa alla radiofrequenza e all’ablazione chirurgica – continua Iacopino – Oggi siamo in grado di garantire una migliore qualità di vita al paziente. Questa metodica consente infatti una minore incidenza di recidive, minori complicanze, riduce fortemente l’esposizione radiologica per tecnici e malati e richiede una sedazione molto meno profonda”.
La crioablazione, pur essendo nota da circa 30 anni, è stata riscoperta dal 2012 grazie all’introduzione di appositi dispositivi medici a forma di palloncino, in grado di sfruttare l’energia fredda – la temperatura media varia dai -40 ai -45 gradi – per cicatrizzare, tramite ghiacciatura, il tessuto da cui origina il problema elettrico. Nella crioabalazione l’energia fredda si somministra in modo più omogeneo rispetto alla radiofrequenza.
“Si introduce infatti il device a forma di palloncino, del diametro di 30 millimetri – spiega l’esperto – nell’atrio sinistro, in corrispondenza dei vasi polmonari allo scopo di ottenere cicatrizzazioni uniformi, costanti, senza i possibili problemi correlati alla manualità della termoablazione”.
“Il dispositivo contiene un piccolo catetere/sensore capace di riprodurre i segnali elettrici da eliminare; in questo modo si è in grado di capire dove, nel corso della procedura, il segnale cessa di propagarsi. Se il potenziale elettrico s’interrompe entro 1 minuto dall’inizio della procedura, maggiore è l’efficacia, a lungo termine, del trattamento”, assicura. Nata come presidio per la fibrillazione atriale di tipo parossistico, cioè nei casi in cui disturbo del ritmo è inferiore ai 7 giorni, la crioablazione viene oggi sempre più utilizzata anche per la fibrillazione atriale di tipo persistente (disturbo del ritmo superiore ai 7 giorni).
(Fonte: Adnkronos)