Infertilità, per il 50% delle donne
“evento più grave della vita”
L’infertilità ha un enorme impatto emotivo sul vissuto delle persone accompagnato da un profondo senso di colpevolezza e negazione. Secondo uno studio pubblicato sull’Hasting Centre Report, il 50% delle donne e il 15% degli uomini considera l’infertilità l’evento più grave della loro vita. Le donne infertili in particolare presentano un quadro psicologico sovrapponibile alle pazienti affette da patologie come il cancro.
“La difficoltà o l’impossibilità a generare è vissuta come un tabù. A differenza di altre patologie, nell’infertilità si diventa ‘pazienti’ solo nel momento in cui si desidera un figlio. Senza il desiderio, si resta fertili, anche se medicalmente sterili. Le difficoltà a realizzare il desiderio di maternità/paternità sono vissute con colpa, dolore, frustrazione, invidia, emozioni difficilmente comunicabili – chiarisce Cristina Cenci, antropologa, fondatrice del Center for Digital Health Humanities – . Spesso lo spazio digitale consente di uscire dalla solitudine, offre un’intimità anonima che facilita l’espressione e la condivisione del vissuto di infertilità”.
Da questa esigenza, nasce ‘Parole fertili’ (www.parolefertili.it), un nuovo progetto di storytelling, dedicato alla condivisione di storie sulla ricerca di un figlio. “Uno spazio online – prosegue Cenci – in cui raccontarsi senza filtri, aperto a tutte le storie, anche le più difficili, anche quelle di chi, senza figli, cerca altre modalità di reinventarsi fertile. Molte donne scrivono, ma molte di più sono quelle che leggono le storie di altre. Al momento tra le nostre storie il grande assente è l’uomo, intrappolato in un silenzio che nasce dal rifiuto del fallimento, che spesso porta anche al rifiuto della diagnosi. La sfida che le storie pubblicate finora ci lanciano è quella di trasformare la PMA in un percorso più personalizzato e meno artificiale. Oggi è infatti vissuto con un senso di grande estraneità e molta sofferenza, anche quando l’esito è positivo”.
L’infertilità è una malattia vera e propria riconosciuta nel 2013 dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e come tale riconosciuto è il diritto universale ad accedere alle cure a prescindere da razza, nazionalità o religione. Diritto alla famiglia che viene sancito anche dall’articolo 31 della Costituzione.