Sindrome di Tourette, scoperti i geni
della “malattia dei mille tic”
Una vita alle prese con sintomi incontenibili: smorfie, colpi di tosse, frasi scurrili e parolacce che trasformano all’improvviso chi soffre della malattia di Tourette. La sindrome dei mille tic è un rebus per gli specialisti. Ma un nuovo studio pubblicato su ‘Neuron’ potrebbe svelare qualcosa di più sulla sua origine ancora perlopiù misteriosa. Per la prima volta, infatti, un team internazionale di scienziati è riuscito a identificare dei geni considerati a rischio per lo sviluppo della patologia (che colpisce una persona su 100 nel mondo): uno ad ‘alta confidenza’ e altri 3 probabili. Quattro geni danneggiati che alterano il normale sviluppo del cervello nei ‘tourettiani’. La scoperta, spiegano gli autori, rappresenta un significativo passo avanti verso la comprensione della biologia del disturbo e aiuterà la ricerca di terapie migliori.
A firmare il lavoro, finanziato con grant del National Institute of Mental Health e del Nj Center for Tourette Syndrome, è un consorzio di super esperti guidato da scienziati dell’University of California San Francisco, Rutgers University, Massachusetts General Hospital, University of Florida e Yale School of Medicine. Gli esperti hanno lavorato al progetto per una decina d’anni. “Ho visto e rivisto la frustrazione che i pazienti e le famiglie sperimentano a causa della nostra mancanza di comprensione e delle limitazioni degli attuali trattamenti – racconta Matthew State (Ucsf), co-autore senior dello studio – Ora abbiamo fatto un grande passo avanti per cambiare questa realtà, grazie a nuove tecnologie genomiche e a una collaborazione a lungo termine di grande successo tra medici e genetisti”.
I ricercatori hanno confrontato le regioni di codifica delle proteine dei genomi di bambini con la sindrome di Tourette e i genomi dei loro genitori per identificare le cosiddette varianti ‘de novo’, rare mutazioni genetiche non ereditate che si verificano spontaneamente al momento del concepimento. Varianti che hanno spesso effetti biologici più forti di quelle ereditarie passate di generazione in generazione, evidenzia Jeremy Willsey (Ucsf), co-autore del lavoro. “Se queste varianti aumentano notevolmente il rischio che un bimbo ha di sviluppare la patologia, la comprensione di questi cambiamenti potrebbe potenzialmente portare a trattamenti efficaci per il disturbo”, auspica.
Il team ha analizzato i dati genomici provenienti da 311 ‘trii’ composti ognuno dal baby-paziente e dai genitori, raccolti dal Tourette International Collaborative Genetics Group, e hanno trovato forti evidenze del fatto che le varianti de novo possono svolgere un ruolo significativo nell’avvio del disturbo. Per essere certi, gli scienziati hanno condotto uno studio di replica su altri 173 trii (dati raccolti dal Tourette Association of America International Consortium for Genetics) e hanno trovato gli stessi risultati. I ricercatori hanno potuto stimare che in circa il 12% dei casi di Tourette sono probabilmente coinvolte varianti de novo e che queste probabilmente colpiscono circa 400 diversi geni chiave per il rischio.
Combinando con un sforzo complesso i dati genetici delle 2 coorti, i ricercatori sono riusciti a restringere il cerchio e a identificare 4 geni espressi nel cervello in cui le varianti de novo erano significativamente associate al disturbo. Nel mirino sono finite varianti del gene WWC1, chiamato anche KIBRA e coinvolto nello sviluppo del cervello, nella memoria e nella risposta cerebrale all’ormone estrogeno. La sua probabilità di contribuire al disturbo è risultata superiore al 90%. Per gli altri 3 geni identificati invece la probabilità è di almeno il 70%. Due di questi – FN1 e CELSR3 – sono anche noti per essere coinvolti nello sviluppo del circuito cerebrale. Il terzo probabile gene a rischio, chiamato NIPBL o Delangin, era stato in precedenza associato a un disturbo comportamentale che si chiama sindrome di Cornelia De Lange, ma anche all’ansia, al disturbo ossessivo compulsivo e all’Adhd.
La ricerca suggerisce che la Tourette, come altri disturbi neuropsichiatrici, è il risultato di mutazioni genetiche multiple. Studi futuri sulle varianti de novo in un numero più ampio di famiglie con la sindrome – anticipano gli scienziati – potranno portare a decine di ‘piste genetiche’ promettenti da esplorare, come è successo nel caso dell’autismo. Potere della “scienza collaborativa e della condivisione di ‘open data’”, sottolineano gli studiosi ricordando che al loro fianco nell’impresa ci sono stati anche “esperti clinici che seguono con profonda devozione i pazienti e le loro famiglie negli Usa, in Europa e in Asia e che hanno con tenacia lavorato per portare avanti questo progetto negli ultimi 7 anni”.
(Fonte: Adnkronos)