La sanità pubblica in “prognosi riservata”:
a rischio entro il 2025
Sanità pubblica a rischio entro il 2025. “Anche se non esiste un disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del servizio sanitario nazionale, continua a mancare un programma politico di medio-lungo termine per salvaguardarlo”. Lo denuncia la Fondazione Gimbe che ha elaborato un dettagliato ‘piano di salvataggio’ che, oltre al necessario ma poco probabile rilancio del finanziamento pubblico, prevede una ridefinizione del perimetro dei Lea, un piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi e una riforma della sanità integrativa.
La Fondazione, infatti, ha presentato oggi alle Istituzioni – presso la Biblioteca del Senato Giovanni Spadolini – il II Rapporto sulla sostenibilità del servizio sanitario nazionale. “Nella consapevolezza che la sanità rappresenta sia un considerevole capitolo di spesa pubblica da ottimizzare, sia una leva di sviluppo economico da sostenere, il Rapporto valuta con una prospettiva decennale il tema della sostenibilità del Ssn, ripartendo dal suo obiettivo primario: promuovere, mantenere e recuperare la salute delle persone”, esordisce il presidente Nino Cartabellotta.
In estrema sintesi il ‘piano di salvataggio’ del Ssn elaborato da Gimbe suggerisce di:
1) offrire ragionevoli certezze sulle risorse destinate al Ssn, mettendo fine alle annuali revisioni al ribasso rispetto alle previsioni e soprattutto con un graduale rilancio del finanziamento pubblico.
2) Rimodulare i livelli essenziali di assistenza (Lea) sotto il segno del value, per garantire a tutti i cittadini servizi e prestazioni sanitarie ad elevato value, destinando quelle dal basso value alla spesa privata e impedendo l’erogazione di prestazioni dal value negativo.
3) Ridefinire i criteri della compartecipazione alla spesa sanitaria e le detrazioni per spese sanitarie a fini Irpef, tenendo conto anche del value delle prestazioni sanitarie.
4) Attuare al più presto un riordino legislativo della sanità integrativa.
5) Avviare un piano nazionale di prevenzione e riduzione degli sprechi, al fine di disinvestire e riallocare almeno 1 dei 2 euro sprecati ogni 10 spesi.
6) Mettere sempre la salute al centro di tutte le decisioni (health in all policies), in particolare di quelle che coinvolgono lo sviluppo economico del Paese, per evitare che domani la sanità paghi – con gli interessi – quello che oggi appare una grande conquista.
Nel Rapporto, 4 dei punti oggetto delle proposte che, secondo Gimbe, condizionano la sostenibilità del Ssn – finanziamento pubblico; nuovi Lea; sanità integrativa; sprechi e inefficienze – vengono analizzati nel dettaglio. Per quanto riguarda il finanziamento pubblico Gimbe sottolinea che la spesa sanitaria in Italia continua a perdere terreno, sia considerando la percentuale del Pil sia soprattutto la spesa pro-capite, inferiore alla media Ocse (3.245 dollari vs 3.976 dollari), che posiziona l’Italia prima tra i Paesi poveri dell’Europa.
“L’entità del definanziamento pubblico – precisa Cartabellotta – emerge in maniera ancora più evidente confrontando la crescita percentuale della spesa pubblica nel 2009-2015, dove l’Italia si attesta ultima, con un misero +2,9% (rispetto al 20% della media Ocse), precedendo solo Spagna, Portogallo e Grecia, paesi in cui si è verificata addirittura una riduzione percentuale”. Il Documento di Economia e Finanza (Def) 2017 conferma – ricorda Gimbe – che, se nel 2010-2015 la sanità si è fatta pesantemente carico della crisi economica del Paese, una eventuale ripresa del Pil nei prossimi anni non avrà un corrispondente positivo impatto sul finanziamento pubblico del Ssn, perché il Def 2017 ne ha ridotto in maniera rilevante la percentuale da destinare alla sanità.
In merito ai livelli essenziali di assistenza, poi, il Rapporto esamina in maniera analitica le criticità applicative dei nuovi Lea, un ‘paniere’ di prestazioni estremamente ricco, ma che deve fare i conti con il pesante definanziamento pubblico. “Il vero problema – puntualizza Cartabellotta – è che il Dpcm sui nuovi Lea non rende esplicita né la metodologia per inserire le prestazioni nei Lea, né quella per ‘sfoltirli’. In assenza di metodo si concretizzano situazioni paradossali, dove con il denaro pubblico vengono al tempo stesso rimborsate prestazioni futili o addirittura dal rapporto rischio-beneficio sfavorevole, mentre prestazioni indispensabili non vengono garantite”.
Riferendosi alla sanità integrativa, il Rapporto Gimbe ricorda che dei quasi 35 miliardi di euro di spesa privata, l’88% in Italia è a carico dei cittadini, con una spesa pro-capite annua di oltre 500 euro. “Le varie forme di sanità integrativa – precisa Cartabellotta – ‘intermediano’ infatti solo il 12,8% della spesa privata, collocando l’Italia agli ultimi posti dei paesi dell’Ocse. Peraltro, la frammentazione legislativa ha generato un paradosso inaccettabile: se i fondi sanitari integrativi non possono coprire prestazioni essenziali, molte di queste oggi vengono sostenute dalle assicurazioni private, che si stanno insinuando tra incertezze delle Istituzioni e minori tutele della sanità pubblica, rischiando di trasformare silenziosamente, ma inesorabilmente, il modello di un Ssn pubblico, equo e universalistico in un sistema misto”.
(Fonte: Adnkronos)