Il ghiaccio alimentare è sicuro?
Esperto svela falsi miti
Con il caldo sempre più intenso cresce il bisogno di refrigerio. E nella ricerca di un po’ di sollievo si cambia anche la dieta. Piatti freddi e coni gelato ma anche frutta e bibite fresche, spesso accompagnate da cubetti di ghiaccio per un effetto ‘gelo’. Ma questo ghiaccio è sempre sicuro? È più sicuro quello di casa o quello del bar? Una volta prodotto come va gestito e conservato? A fare chiarezza è Luciano Atzori, biologo esperto in sicurezza degli alimenti e in tutela della salute dello studio Abr.
“Premesso che esistono diversi tipi di ghiaccio, con caratteristiche differenti secondo l’uso che se ne deve fare (industriale, contro i traumi), con il termine ghiaccio – spiega Atzori – si intende il prodotto del congelamento dell’acqua quindi la fase solida di questa. Per ghiaccio alimentare (o commestibile), invece, si intende il ghiaccio preparato con acqua potabile, conforme alla normativa, che alla fusione si deve trasformare in acqua con le stesse caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche di quella potabile utilizzata per la sua produzione. Può venire a diretto contatto con gli alimenti e quindi essere consumato, di conseguenza è un alimento a tutti gli effetti”.
Fondamentalmente il ghiaccio alimentare è di 3 tipi:
1) ghiaccio domestico: generalmente a forma di cubetti pieni, viene preparato in casa utilizzando il congelatore-freezer. E’ utilizzato per vari impieghi ma per lo più per scopi edonistici (cocktail, raffreddamento della frutta). Questo ghiaccio, essendo preparato in contenitori aperti, tende a incorporare gli eventuali odori degli alimenti presenti all’interno del frigorifero se non sigillati e, di conseguenza, può assumere sgradevoli sapori. Per lo stesso motivo il ghiaccio alimentare può essere contaminato da muffe, infatti, nei moderni frigoriferi e freezer si ha il circolo forzato dell’aria fredda (sistema ‘no frost’ che evita la formazione di brina e ghiaccio sulle pareti e nei ripiani) che può trasportare sul ghiaccio le spore fungine, che spesso contaminano i frigoriferi. Generalmente questo non genera rischi per la salute ma è comunque bene evitare che il ghiaccio soggiorni per mesi in freezer. Insomma è buona consuetudine effettuare il turnover del ghiaccio alimentare domestico ogni 2-3 settimane.
2) ghiaccio per pubblici esercizi: questo ghiaccio, detto anche da autoconsumo, viene prodotto nei pubblici esercizi (ristoranti, bar, pub, alberghi, pescherie) con macchine specifiche in grado di produrre ghiaccio in modo continuativo (da 10 kg a oltre 200 al giorno). Deve essere utilizzato nell’ambito delle attività connesse all’esercizio (preparazione di cocktail, raffreddamento delle portate di frutta o delle bottiglie di vino bianco, esposizione dei pesci) e non può essere venduto tal quale. In Italia se ne producono circa 200 mila tonnellate l’anno per lo più a forma di cubetti pieni o cavi, granulare, a scaglie, a lastre. Anche questo ghiaccio deve essere prodotto da acqua potabile conforme alla normativa quindi provenire dalla rete idrica pubblica. Il gestore locale dell’acqua la garantisce sino al punto di consegna che spesso coincide con il contatore e rappresenta la linea di demarcazione dell’eventuale responsabilità per contaminazione del ghiaccio tra il gestore e il titolare dell’impresa alimentare. Spesso, spiega l’esperto, tale contaminazione è dovuta alla non manutenzione della rete idrica interna e della macchina del ghiaccio, alla non periodica sanificazione delle eventuali cisterne o serbatoi (che si utilizzano nei periodi restrizioni idriche) e delle apparecchiature adoperate per la produzione dell’acqua.
Ma un altro punto critico di questo tipo di ghiaccio può essere la sua manipolazione e la conservazione. Per evitare contaminazioni bisogna rispettare il sistema Fifo, la corretta igiene della persona, formare e sensibilizzare il personale alimentarista e applicare sempre le corrette prassi igieniche. Qualora si utilizzi come materia prima per produrre il ghiaccio, l’acqua proveniente da pozzi autorizzati, questi devono possedere determinate caratteristiche (ad esempio attingere acqua da falde protette quindi non inquinate), si devono effettuare controlli costanti dei parametri fisico-chimici e microbiologici e l’acqua andrà resa conforme a quanto indicato dalla normativa attraverso specifici trattamenti (addolcimento, affinamento, disinfezione). Nel ghiaccio alimentare da autoconsumo, quando contaminato, possono essere presenti diverse forme batteriche patogene e patogene opportuniste (enterococchi, coliformi, pseudomonas, bacillus, pantoea spp, agrobacterium), lieviti (pichia e candida) e muffe.
3) ghiaccio industriale: è prodotto in specifiche aziende autorizzate e registrate per tale attività e viene commercializzato confezionato nel rispetto delle norme vigenti. In Italia annualmente si producono circa 20 mila tonnellate di ghiaccio alimentare di tipo industriale nelle le più disparate forme. Anche questo ghiaccio deve essere prodotto da acqua conforme alla normativa quindi potabile. Di norma questo ghiaccio è quello più sicuro dal punto di vista igienico-sanitario, ma tale requisito può andare perso se chi lo acquista ne fa un cattivo uso (scorretto stoccaggio, errata manipolazione). A seguito della contaminazione microbiologica del ghiaccio si potrebbero manifestare diverse infezioni o tossinfezioni con esiti diversi a seconda della dose infettante (cioè del numero di microrganismi presenti nel ghiaccio) e dello stato di salute individuale. I soggetti più a rischio sono i bambini, gli anziani, gli immunodepressi e i defedati. Spesso il ghiaccio contaminato è una delle principali cause di infezioni e gastroenteriti durante i viaggi in alcuni Paesi specialmente nei mesi caldi.
“Anche per il ghiaccio alimentare esistono dei falsi miti difficili da screditare – spiega Atzori – Il più diffuso è quello per cui le basse temperature uccidono i microrganismi e quindi il ghiaccio, prodotto e mantenuto ad una temperatura inferiore agli zero gradi, è sterile cioè privo di ogni forma microbica. Non c’è mito più falso – assicura – in quanto le basse temperature riescono a uccidere solo una percentuale molto bassa di microrganismi e di norma evitano solo la loro proliferazione. Di conseguenza quando il ghiaccio passa allo stato liquido gli eventuali microrganismi presenti diventano attivi (in grado di proliferare) e pericolosi soprattutto se vengono a contatto con alimenti che non subiranno la cottura”.
“Altro falso mito duro da sfatare – prosegue l’esperto – è quello per cui se del ghiaccio contaminato da microrganismi viene messo in bevande alcoliche o frizzanti i microrganismi vengono totalmente uccisi. Ciò non è vero poiché solo alcune forme batteriche vengono eliminate mentre altre tendono a diminuire di numero ed altre ancora non vengono interessate da tale parziale opera di bonifica”. “L’Italia in merito a questo particolate alimento è sicuramente uno dei Paesi più all’avanguardia in Europa – conclude il biologo – Infatti è stato il primo Paese a elaborare (ministero della Salute, maggio 2015) il cosiddetto ‘Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare’, un utile e indispensabile strumento per gli addetti ai lavori per la produzione di ghiaccio igienicamente sicuro”.
(Fonte: Adnkronos)