Lo studio di un gruppo di ricercatori italiani

Scoperti nei ghiacciai delle Alpi
metalli pesanti e sostanze radioattive

di oggisalute | 31 agosto 2017 | pubblicato in Attualità
ghiacciaio_aosta

Conservati ‘sotto ghiaccio’. Nei ghiacciai alpini ci sono sostanze radioattive prodotte da test e incidenti nucleari come cesio-137, americio-241 e bismuto-207: dopo essere stati deposti al suolo insieme alla neve, infatti, possono essere conservati per decenni nei ghiacciai che fondono e si ritirano ogni anno di più. Lo dimostrano le recenti misure effettuate sul ghiacciaio del Morteratsch, nelle Alpi svizzere, da un gruppo di ricercatori italiani che ha utilizzato sedimenti chiamati crioconiti come rivelatori o ‘cartine tornasole’ per l’analisi del ghiaccio.

Le coppette crioconitiche – piccoli depositi di sedimenti scuri che si trovano sui ghiacci di tutto il mondo – oltre alle sostanze radioattive assorbono e concentrano anche metalli pesanti e metalloidi come zinco, arsenico e mercurio. Fortunatamente però, assicurano i ricercatori, non è stato rilevato alcun rischio immediato per la salute. La ricerca è stata condotta da un gruppo di studiosi dei Dipartimenti di Scienze dell’ambiente e della terra e di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, dell’Università di Genova e del Laboratorio per l’energia nucleare applicata (Lena) dell’Università di Pavia, ed è pubblicata su ‘Scientific Reports’.

Le crioconiti sono tipici sedimenti di colore scuro che si formano nelle regioni dei ghiacciai soggette alla fusione e la loro formazione è dovuta all’interazione fra materiale di origine minerale e sostanza organica. La ricerca mostra la loro capacità di assorbire varie sostanze e impurità come se fossero delle vere e proprie spugne. Fortunatamente le sostanze potenzialmente nocive raggiungono concentrazioni significative solo all’interno delle singole coppette crioconitiche: quando il ghiaccio fonde e la crioconite viene rilasciata nell’ambiente insieme all’acqua di fusione, queste sostanze sono diluite enormemente, evitando quindi qualsiasi rischio concreto e immediato per la salute.

Con la progressiva fusione dei ghiacciai, le sostanze immobilizzate da anni o addirittura decenni vengono rilasciate nell’ambiente circostante attraverso l’acqua di fusione. Ciò che la ricerca evidenzia è che le concentrazioni rilevate nelle crioconiti sono nettamente superiori rispetto a quelle tipicamente osservate nel ghiaccio e nell’acqua di fusione pura. La regione alpina si conferma così un’area critica e fragile dal punto di vista ambientale, essendo circondata da alcuni tra i distretti più densamente popolati e industrializzati del pianeta, e rappresenta un banco di prova ideale per studiare l’impatto delle attività umane sui ghiacciai e sugli ambienti d’alta quota in generale.

Quanto all’eccesso di metalli pesanti, secondo i ricercatori le concentrazioni fanno pensare a un contributo umano derivante da industrie e trasporti, accumulatosi sui ghiacciai nel corso degli ultimi decenni. Fra le sostanze radioattive trovate alcune sono di origine naturale – come nel caso di torio, uranio e potassio – altre di origine antropica. La presenza di queste ultime è legata esclusivamente ad attività umane, ovvero i test e gli incidenti nucleari avvenuti negli anni passati. Certe sostanze radioattive possono viaggiare insieme alle correnti atmosferiche e sono in grado di percorrere migliaia di chilometri. Gli effetti dell’incidente di Fukushima del 2011, avvenuto in Giappone, sono stati rilevati anche in Italia da alcuni degli autori di questo studio, seppure con concentrazioni bassissime: ecco come si spiega la presenza di sostanze radioattive sui ghiacciai alpini.

“Questo lavoro dimostra la capacità della crioconite di trattenere inquinanti di origine atmosferica con estrema efficienza – spiega Giovanni Baccolo, dottore di ricerca che collabora con i gruppi di Glaciologia e Radioattività dell’Università di Milano-Bicocca – incluse sostanze molto rare come i nuclidi radioattivi prodotti durante i test nucleari degli anni Sessanta. Considerando il perenne stato di ritiro dei ghiacciai alpini, questa ricerca è di grande interesse perché tutto ciò che è rimasto ‘intrappolato’ nei ghiacciai negli ultimi decenni sarà presto rilasciato nell’ambiente”.

(Fonte: Adnkronos)

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