L’editing del genoma per curare
una rara malattia ereditaria
“Come un tipografo corregge le lettere di un testo”, così un team di scienziati italiani punta a utilizzare l’editing del genoma per “correggere il difetto genetico” alla base di una grave malattia ereditaria intervenendo con i ‘bisturi molecolari’ direttamente e in maniera precisa “sulla sequenza di Dna mutata”. Non smette di sorprendere la tecnica del ‘taglia e incolla molecolare’ e a raccontarlo con queste parole è Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, in occasione di un importante studio pubblicato su ‘Science Translational Medicine’.
Il lavoro firmato dallo scienziato pioniere della terapia genica e da un team di ricercatori del centro porta l’editing del genoma a un passo dalla sperimentazione clinica per il trattamento dell’immunodeficienza severa combinata trasmissibile tramite cromosoma X (Scid-X1). Si tratta di una patologia che fa parte del gruppo delle immunodeficienze primitive, la stessa famiglia dell’Ada-Scid, simile nella manifestazione clinica ma dovuta a un altro difetto genetico, malattia che proprio grazie all’attività scientifica condotta al Sr-Tiget, è stata la prima curata con la terapia genica a base di cellule staminali, resa disponibile sul mercato nel 2016 con il nome di Strimvelis* da GlaxoSmithKline. Nel nuovo studio, gli scienziati hanno messo a punto la ‘road map’ per sperimentare l’editing del genoma contro la Scid-X1.
La tecnica per correggere le mutazioni sul gene malato, riscrivendone la sequenza tramite i ‘bisturi molecolari’, non è stata ancora applicata sull’uomo. “L’editing del genoma è un’evoluzione della terapia genica attuale”, spiega Naldini che è anche docente dell’università Vita-Salute San Raffaele e recentemente è stato incluso nel comitato scientifico internazionale Human Gene Editing Study della National Academy of Sciences e della National Academy of Medicine, che hanno pubblicato il primo rapporto in cui si tracciano le principali raccomandazioni sull’utilizzo di questa tecnologia. Una tecnologia che “offre un vantaggio straordinario – continua Naldini – perché permette di ripristinare la funzione e conservare la naturale regolazione del gene, quanto, quando e dove viene espresso. Nel nostro studio lo abbiamo applicato alle cellule staminali del sangue che una volta corrette riacquisiscono la capacità di produrre le cellule mancanti del sistema immunitario”.
Entra nel dettaglio di come funziona Pietro Genovese, 33 anni, che firma lo studio con Naldini ed è stato premiato come giovane ricercatore emergente alla fine del 2016 dalla Società europea di terapia genica e cellulare (Esgct): “La tecnologia dell’editing del genoma sfrutta proteine come le zinc-finger nucleasi e il versatile sistema Crispr/Cas9, dei ‘bisturi molecolari’ disegnati in laboratorio per riconoscere e tagliare una precisa sequenza di Dna”.
Una volta che il Dna viene tagliato in un sito specifico, “il ripristino della molecola utilizza come stampo la versione corretta del gene fornita dai ricercatori che quindi viene incorporato nel sito di taglio, sfruttando i normali meccanismi di riparazione del Dna della cellula”, chiarisce lo scienziato che già nel 2014 aveva dimostrato insieme a Naldini come far funzionare questa vera e propria équipe microchirurgica nelle cellule staminali umane del sangue. La rivoluzionaria tecnologia, oggi ampiamente utilizzata nell’ambito della ricerca di base e preclinica, era stata applicata per la prima volta nel 2007 dallo stesso gruppo per dimostrare su linee cellulari la possibilità di correggere i difetti genetici alla base dell’immunodeficienza ereditaria Scid-X1.
Per questa malattia la terapia genica ‘tradizionale’ aveva dato in passato dei problemi di sicurezza, ovvero lo sviluppo di leucemia in alcuni dei pazienti trattati, in conseguenza di un’espressione incontrollata del gene terapeutico. In assenza di questo gene, le cellule staminali del midollo osseo non sono in grado di dare origine ad alcune componenti fondamentali del sangue quali i linfociti T: i pazienti malati sono così particolarmente vulnerabili alle infezioni fin dalla prima infanzia e costantemente in pericolo di vita. La migliore precisione dell’ingegneria genetica effettuata con la tecnica dell’editing del genoma permette di poter correggere il difetto genetico con maggiore efficacia e sicurezza rispetto agli approcci precedenti, ma molti quesiti restano ancora irrisolti prima che questa nuova procedura possa essere efficacemente applicata in una sperimentazione clinica.
Lo studio appena pubblicato rappresenta un importante passo avanti in quanto i ricercatori sono riusciti a disegnare la mappa che porterà all’applicazione clinica. Gli studiosi, infatti, hanno migliorato l’efficienza della procedura di correzione genica, ne hanno validato l’efficacia terapeutica utilizzando modelli preclinici di malattia e, in questi modelli, hanno definito sia quante cellule corrette somministrare per curare la malattia sia le modalità di somministrazione.
“Utilizzando un modello murino di malattia nel quale avevamo ‘ricreato’ un sistema ematopoietico difettoso, perché portatore dello stesso gene umano della malattia, siamo riusciti a dimostrare che bastano poche cellule staminali corrette per ottenere la ricostituzione di un sistema immunitario completamente funzionante. Le cellule da noi corrette con la tecnica dell’editing del genoma hanno infatti un vantaggio selettivo rispetto alle cellule malate e riescono a ripopolare completamente il sistema immunitario dell’animale, dando origine a linfociti T e B completamente funzionali”, spiega Giulia Schiroli, che ha conseguito il dottorato di ricerca come prima autrice del lavoro.
Un’altra scoperta è la necessità di ottenere l’attecchimento nel midollo osseo, sia pure in modesta quantità, delle staminali geneticamente corrette. Solo così si può garantire l’efficacia della terapia nel tempo ed evitare il rischio di leucemia. In loro assenza, attecchirebbero solo le popolazioni di cellule più specializzate da esse prodotte (i progenitori linfocitari), le quali non venendo rinnovate sarebbero sottoposte a stress duplicativo, che nel tempo può produrre mutazioni tumorali. L’attecchimento delle staminali corrette può essere ottenuto utilizzando chemioterapici tradizionali o con una procedura più specifica e meno tossica, sviluppata in collaborazione con il laboratorio di David Scadden ad Harvard e qui usata per la prima volta nel contesto della terapia genica.
“Questi risultati sono la capitalizzazione di più di 10 anni di ricerca – concludono i ricercatori – Con questo approccio potremo, in un futuro ormai vicino, non solo superare alcuni dei più importanti ostacoli che oggi rallentano l’applicazione della terapia genica, ma anche ingegnerizzare le cellule in modo sempre più preciso, disegnando nuove strategie di cura anche per numerose altre malattie”.
(Fonte: Adnkronos)