Spugne, ricci e vongole: dal mare
gli alleati anti cancro e infezioni
La salute vien dal mare. Nascosto nelle acque blu che coprono circa il 70% della superficie del nostro Pianeta, c’è un tesoro da scoprire per la medicina del futuro, “una fonte ancora poco esplorata di molecole bioattive, che ci riserverà molte sorprese”. Parola di scienziato. Vittorio Venturi si occupa di batteriologia, al Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb) di Trieste guida un gruppo di ricerca attivo in questo campo e ha potuto sperimentare in prima persona quanto ampia sia la miniera di informazioni – preziose per aprire la strada allo sviluppo di nuovi farmaci, dagli antibiotici agli anticancro – che arriva dagli abissi.
“Per esempio penso a un’intuizione importante sulla comunicazione fra batteri – racconta all’AdnKronos Salute – Oggi sappiamo che questi si comportano come un gruppo e non come singoli. Una scoperta che ha rivoluzionato la microbiologia ed è stata messa a segno proprio studiando un batterio marino che vive in simbiosi con un calamaro”. Questi batteri bioluminescenti creano una comunità e “producono luce solo quando sono in tanti. Seguendo questa pista si è scoperto che anche altri batteri comunicano e agiscono in base al loro numero. Una svolta che apre una porta importante su diverse possibili applicazioni. La comunicazione batterica è un target del futuro per nuovi antibiotici. Agendo su questo fronte, per esempio, si può rendere la comunità più debole e confusa”.
Ma la ‘golden list’ degli alleati marini è lunga: spugne, alghe, ricci di mare, vongole e tunicati, visti sul bancone del laboratorio, offrono un volto inedito. In occasione della manifestazione ‘Trieste Next 2017’ si è fatto il punto sulle prospettive di questo filone di studi, in due appuntamenti dedicati all’argomento. Il primo – ‘Dal mare le nuove molecole per la nostra vita’ – organizzato dall’Icgeb; l’altro – ‘Come il mare aiuta la ricerca contro il cancro’ – curato dall’università di Trieste in collaborazione con l’Airc.
Fra gli scienziati che puntano a scoprire questi ‘biotesori’ sommersi, c’è Laura Steindler, dirigente del gruppo di Microbiologia marina dell’università di Haifa (Israele). Il suo oggetto di ricerca sono le spugne marine. “Motori che filtrano tantissima acqua”, spiega Venturi. Osservandole, la scienziata ha visto che portano dentro tanti batteri, “alcuni li mangiano, altri vivono in simbiosi con loro”.
A Trieste Steindler ha raccontato la sua esperienza scientifica. Punta a capire come fanno le spugne a riconoscere chi mangiare e con chi convivere. Ed è interessata a una dote in particolare: tutto quello che viene immerso nel mare viene colonizzato subito da diversi microrganismi, mentre le spugne rimangono pulite, “producono un grosso arsenale di sostanze chimiche che tengono lontano altri organismi che si vogliono attaccare – dice Venturi – sostanze antimicrobiche e molecole bioattive da usare nella medicina del futuro”.
Il lavoro di scoperta è ancora lungo, “si apre uno scenario smisurato”, osserva l’esperto. Lo conferma anche Giovanna Romano, della stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli, dove un dipartimento è al lavoro su screening per trovare molecole bioattive per uso medico, ma anche cosmetico. “Per esempio – chiarisce Venturi – analizzano microalghe del mare, le isolano, le portano in laboratorio. Hanno creato uno spin off che ha due o tre molecole, fra cui un adiuvante per vaccini e stanno avendo molto successo”. Romano spiega che oggi l’80% delle molecole più attive usate in medicina viene da organismi terrestri, soprattutto piante, mentre negli oceani ci sono migliaia di microrganismi ancora non studiati che aspirano a diventare “una grossa fonte del futuro”, sottolinea Venturi. Sempre secondo i dati presentati da Romano, i primi test indicano che gli screening su microrganismi marini sembrano avere 100 volte più successo di quelli su microrganismi terrestri.
C’è poi il capitolo dell’uso di alghe per la produzione di biocombustibili, affrontato da Michael Magri, ricercatore di Tere Group, realtà con sede a Modena. “Biodiesel – riassume Venturi – da usare in aggiunta ai diesel per ridurre l’inquinamento prodotto da questi ultimi”. Magri ha anche mostrato diversi altri prodotti derivati da microalghe, che spaziano dall’olio per uso alimentare alla bioplastica.
Quanto alla ricerca sui tumori, ricci di mare, vongole e tunicati sono solo alcuni degli esempi di un filone che si sta arricchendo sempre di più. Con risultati già concreti. Si va dalla trabectedina, un farmaco antitumorale scoperto nel 1969 e derivato da una sostanza prodotta da un organismo marino che vive nel mar dei Caraibi (Ecteinascidia turbinata), all’eribulina mesilato utilizzato contro il carcinoma mammario localmente avanzato o metastatico, un analogo sintetico dell’alicondrina B, prodotto naturale isolato dalla spugna marina Halichondira okadai.
E ancora la lurbinectedina, nuovo farmaco antineoplastico che mima molti composti naturali di origine marina: dagli studi in corso arrivano dati positivi per numerosi tumori. “Le potenzialità del mare sono immense – conclude Venturi – E guardando a quanto scoperto finora mi chiedo soltanto una cosa: come mai abbiamo aspettato fino ad adesso?”.
(Fonte: Adnkronos)