Sesso: quando amare fa male,
dolore per una donna su sette
A volte amare fa male e non c’entrano le questioni di cuore: il dolore si insinua sotto le lenzuola, colpisce nel cuore dell’intimità e crea una barriera fra lei e lui. Con il rischio che alla fine anche la coppia scoppi. Lo sperimenta fino a una donna su 7, il 10-15% della popolazione femminile secondo le stime. I medici la chiamano ‘vulvodinia’, è una condizione che porta a provare dolore durante i rapporti sessuali.
Una sofferenza che spiazza e viene spesso vissuta in silenzio. Il timore è di non essere capite, di sentirsi rispondere che è solo un inganno della mente. La comunità scientifica ha cominciato a puntare i fari sul problema solo negli ultimi 20 anni, ma fino a quando questo non è avvenuto le donne colpite non sapevano nemmeno dare un nome al loro problema. Ancora oggi è difficile per molte parlarne con i camici bianchi. Ma i tabù sono nemici, rallentano la ricerca di una soluzione.
“Nonostante i grandi passi fatti negli ultimi tempi – spiega Elisa Sipio, ginecologa del Centro medico Santagostino – le donne che convivono con questo fastidioso sintomo spesso si scontrano con diverse difficoltà nell’affrontare l’argomento con il proprio medico, tra cui l’imbarazzo, la difficoltà del medico stesso nel trattare temi legati alla sessualità, la paura di non essere ‘normali’ o di apparire ‘strane’. Tutto ciò fa sì che la vulvodinia resti ancora oggi un problema sottostimato, poco indagato, e che spesso giunge all’attenzione di un medico preparato per affrontarla con notevole ritardo rispetto alla sua insorgenza”.
Non tutte le situazioni in cui c’è ‘dolore intimo’ rientrano nella casistica: si può infatti sperimentare a causa di infezioni, di problemi dermatologici, neurologici, oncologici, ormonali o traumatici. Quando il dolore non è riconducibile a una causa specifica ed è presente da più di 3 mesi, allora si parla di vulvodinia, chiarisce l’esperta. Questo non esclude comunque la presenza di una delle altre condizioni, che possono affiancarsi. Alcune donne sperimentano dolore spontaneo, senza eventi scatenanti. Più frequente è il caso invece del dolore provocato dal tentativo di rapporto sessuale.
“E’ stato dimostrato – spiega Sipio – come la percezione del dolore che si protrae a lungo genera dei meccanismi a livello del sistema nervoso che rendono ‘centrale’ il dolore, cioè che rendono la percezione del dolore indipendente dalla presenza o meno dello stimolo doloroso. Questo ci insegna che non è corretto pensare che il dolore sia generato dalla mente, come spesso le pazienti affette da vulvodinia si sentono impropriamente dire, bensì è la mente ad essere influenzata e ‘modellata’ dall’esperienza del dolore cronico. Spesso infatti nel giro di poco tempo il problema diventa ben più vasto della semplice presenza del dolore, arrivando a modificare la quotidianità e a rendere più o meno ‘reattiva’ la persona, provata dalla lunga sopportazione e convivenza con il dolore”.
Sebbene la vulvodinia abbia un impatto sulla qualità della vita a 360 gradi, modificando il comportamento, le abitudini, le relazioni e l’emotività della donna, la sfera sessuale è quella che ne risente maggiormente, evidenzia la ginecologa. Spesso si “arriva a mettere in atto strategie di evitamento anche nei confronti della sessualità non penetrativa, allontanando il partner o evitando le occasioni di intimità”. E’ una spirale, perché questa reazione “genera a sua volta disagio nel partner, che vede le proprie attenzioni rifiutate e spesso non capisce cosa provi la propria compagna e non sa come aiutarla”.
“Assistere impotente alla sofferenza della propria partner – continua Sipio – talvolta induce nell’uomo delle vere e proprie disfunzioni della sfera sessuale come il calo del desiderio o il deficit erettile, disfunzioni di cui nessuno si preoccupa poiché il medico il più delle volte cerca di curare la propria paziente, senza considerare ciò che accade al partner”. Per questo, aggiunge, è necessario affrontare in modo ampio la situazione nella sua complessità. “Si tratta – osserva la specialista – di una sindrome che in ogni donna riconosce meccanismi e cause diverse e diversamente curabili, le terapie quindi devono essere personalizzate”.
Si va “dall’uso di farmaci, per bocca o per via locale, di integratori o di prodotti emollienti”, fino all’intervento “sulle abitudini quotidiane che possono irritare o influenzare la percezione del dolore, come i prodotti usati per l’igiene o l’abbigliamento. Soprattutto è utile che, oltre al ginecologo esperto, la donna con diagnosi di vulvodinia possa affidarsi a un’équipe multidisciplinare”.
“Fondamentale – elenca Sipio – la presenza di professionisti dedicati alla terapia fisica, come la Tens antalgica e la riabilitazione del pavimento pelvico, per agire sulla componente muscolare del dolore e insegnare alla donna ad avere il controllo del proprio corpo, importantissima la consulenza sessuale, che aiuti la donna o la coppia a fare chiarezza sul problema e trovare insieme stili di vita soddisfacenti; estremamente utile la psicoterapia, ovvero un percorso che sostenga la donna aiutandola, tra le altre cose, a ridurre l’impatto del dolore sulla sua vita, a gestire l’ansia e l’aggressività, a modificare la risposta al dolore, e che sostenga anche il partner per ridurre la conflittualità nella coppia e favorire strategie di comunicazione e di adattamento più efficaci”.
(Fonte: Adnkronos)