Carceri, sette detenuti su 10 hanno
almeno una patologia cronica
Ogni anno all’interno dei 190 istituti penitenziari italiani passano tra i 100mila e i 105mila detenuti. Secondo gli ultimi dati, circa il 70% soffre di almeno una malattia cronica, ma di questi poco meno della metà ne è consapevole. Le carceri si confermano, quindi, un concentratore di patologie: malattie infettive, psichiatriche, metaboliche, cardiovascolari e respiratorie. Sono alcuni dati di cui si parlerà il XIX congresso nazionale della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe), Agorà penitenziaria 2018, organizzato insieme alla Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
Nel corso dell’incontro si parlerà di la vaccinazione delle persone detenute, integrazione e tutela delle fragilità sanitarie e sociali in carcere, il dolore e la salute mentale in ambito penitenziario, microeradicazione di Hcv in sezioni detentive, esperienze di gestione dei detenuti migranti.
“Tra le malattie infettive, il virus dell’epatite C è quello più rappresentato, soprattutto a causa del fenomeno della tossicodipendenza”, spiega Sergio Babudieri, presidente del Congresso nonché direttore scientifico Simspe onlus. “E’ risaputo che un terzo dei detenuti (34%) è in carcere per spaccio di stupefacenti, il che li rende più soggetti a malattie infettive. Dal 30% al 38% dei carcerati ha gli anticorpi del virus dell’epatite C, ma di questi solo il 70% hanno il virus attivo. Dai 25 ai 30mila detenuti, quindi uno su tre, avrebbero bisogno di essere trattati con i nuovi farmaci altamente attivi contro il virus C dell’epatite”.
Numeri migliori, ma non ancora positivi, per quanto riguarda l’Hiv. Una patologia in diminuzione, ma che non riguarda più principalmente ed esclusivamente le categorie più a rischio. Oggi si parla del 3/3,5% di sieropositivi nelle carceri, ma è difficile effettuare nuove diagnosi. Gli affetti da Epatite B, invece, sono circa il 5-6% del totale. Inoltre oltre la metà dei detenuti stranieri è positivo ai test per la tubercolosi.
“Quando parliamo di migranti – spiega ancora Babudieri – dobbiamo ricordarci che si tratta di persone che, per più o meno ovvie ragioni, tendono a non curarsi e a non poter approfondire la propria questione sanitaria. In aumento per loro è soprattutto la tubercolosi, con la possibilità di aumentare la circolazione di ceppi multiresistenti ai farmaci. Un ulteriore problema è intrinseco alla malattia, per sua natura subdola e non facilmente diagnosticabile, perché il peggioramento è lento e graduale. Purtroppo ci vorrebbe una maggiore attenzione proprio a partire dai centri migranti, spesso con controlli sanitari non adeguati”.
(Fonte: Adnkronos)