Epatite C, oltre 12 mila pazienti
trattati con 97% di guarigioni
La Sicilia è un esempio nella lotta all’epatite C. Sono oltre 12.000 i pazienti già trattati e 4.300 sono in attesa di trattamento. Le percentuali di guarigione sono di oltre il 97%, con una riduzione del numero di ricoveri per cirrosi epatica e di trapianto di fegato. Farmaci sempre più efficaci a costi più accessibili e un efficiente sistema organizzativo regionale per gestire e trattare chi è colpito dall’infezione sono gli ingredienti della ricetta siciliana contro l’Hcv, ma la sfida contro il virus non è ancora vinta. Occorre raggiungere i pazienti più difficili, tossicodipendenti e detenuti in primo luogo, e consentire a tutti gli specialisti, anche al di fuori dei centri autorizzati, la possibilità di trattamento.
Se ne parla a ‘BeLiver’, evento che coinvolgerà a Palermo, oggi e domani, 55 epatologi della Regione. L’incontro, promosso da Gilead Sciences, verrà replicato nei prossimi mesi a Milano e Roma coinvolgendo complessivamente oltre 150 specialisti. “Non è un caso che questo evento parta da Palermo e dalla Sicilia – ha commentato Antonio Craxì, ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Palermo e responsabile scientifico dell’evento – La Sicilia ha raggiunto infatti risultati importanti nella lotta all’epatite C. Decisiva è stata l’introduzione dal 2014 di nuove terapie sempre più efficaci nel curare l’infezione e sempre più facili da gestire da parte del medico. Le ultime, in particolare, le pangenotipiche, sono in grado di colpire tutti i tipi di virus con percentuali di successo vicine al 100%. Altrettanto decisiva è stata la realizzazione di “Rete Hcv Sicilia”, un modello organizzativo apprezzato e preso a riferimento a livello nazionale e internazionale”.
La Rete Hcv Sicilia, creata dagli specialisti siciliani e poi riconosciuta con decreto dalla Regione, è telematica e collega i centri ospedalieri del territorio autorizzati alla diagnosi e alla terapia dell’Hcv consentendo così di identificare e curare i pazienti colpiti dall’infezione. Finora la Rete, raccogliendo i dati su tutti i pazienti trattati, ha fornito informazioni preziose sui risultati delle terapie che nel frattempo hanno visto una sensibile riduzione del costo, si legge in una nota.
“I costi delle terapie si sono ridotti in modo importante nel corso del tempo diventando del tutto sostenibili per il sistema sanitario e consentendo a un numero maggiore di pazienti di essere trattati. Un punto decisamente a favore nella lotta contro l’infezione”, commenta Craxì. Ma la guerra non è ancora vinta. Se buona parte dei pazienti con malattia già nota sono stati curati, altre fasce di popolazione sono rimaste fuori dal raggio di azione perché più difficili da raggiungere e da curare. Si tratta di persone con problemi di dipendenze patologiche da sostanze stupefacenti, detenuti (molti dei quali positivi anche all’epatite B) e persone con comportamenti a rischio.
A questi si aggiunge poi un’altra categoria di pazienti altrettanto difficili, quelli asintomatici: persone colpite da virus ma senza evidenti conseguenze sullo stato di salute e restii ad affrontare la cura. “E’ su queste popolazioni che gli specialisti siciliani devono concentrare ora la loro attenzione – aggiunge Craxì – L’incontro a Palermo ha proprio la finalità di mostrare e condividere come meglio prendere in carico queste popolazioni difficili che per le loro caratteristiche non possono essere considerate nello stesso modo dei pazienti finora trattati e che potremmo definire semplici. Gli strumenti terapeutici oggi a disposizione, proprio grazie alla loro facilità di gestione da parte del medico, possono e devono essere portati a queste popolazioni se si vuole vincere la battaglia contro il virus”.
“I protocolli di diagnosi e cura – aggiunge – sono ormai semplici tanto da poter essere gestiti anche al di fuori del centro ospedaliero. Se si vuole andare verso l’obiettivo di un profondo contenimento dell’infezione, avvicinandosi alla quasi totale eliminazione, la possibilità di prescrizione dovrebbe riguardare anche gli specialisti ambulatoriali e non solo quelli ospedalieri pensando anche al coinvolgimento dei medici di base come avviene già in altri paesi. Dovremmo passare a un sistema che vede al centro il medico e non tanto l’ospedale autorizzato. Allo specialista ospedaliero dovrebbero rimanere solo i casi più problematici, legati ad esempio alla malattie del fegato in fase avanzata”, conclude Craxì. “L’eliminazione dell’epatite C dal nostro Paese è la sfida che Gilead ha raccolto, e per vincerla stiamo lavorando con impegno insieme alle società scientifiche, le associazioni di pazienti e i clinici”, sottolinea Cristina Le Grazie, direttore medico di Gilead Sciences.
(Fonte: Adnkronos)