Talent scout stranieri “a caccia”
di medici italiani
Vengono scelti tra i migliori e con offerte economiche difficili da rifiutare. I giovani medici italiani sono sempre più nel mirino di talent scout stranieri ‘a caccia’ di camici bianchi da portare in Nord Europa (Germania, Olanda, Danimarca e Gran Bretagna sopratutto). Come avviene nel mondo dello sport, questi osservatori ‘fiutano’ i candidati in convegni o congressi e scelgono i professionisti con i punteggi di laurea e specializzazione migliori. Poi scatta il ‘corteggiamento’ per farli trasferire all’estero. Questa fuga dei dottori dal Servizio sanitario nazionale verso altri Paesi sta assumendo, da fenomeno di nicchia, i contorni di un vero problema per ospedali e Asl che rischiano di ritrovarsi senza medici. E’ il Veneto una delle Regioni che per prima ha denunciato le conseguenze: “Un giovane medico su 5 va a lavorare all’estero”, spiega all’AdnKronos Salute Michele Valente, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Vicenza.
“Da qualche isolato episodio, il fenomeno è cresciuto – sottolinea Valente – Il Veneto, come la Toscana o la Lombardia, sono considerate regioni dove la sanità pubblica funziona e i medici lavorano bene. Così i medici sono molto apprezzati e diventano l’obiettivo di personaggi di alcune agenzie, diciamo talent scout, che lavorano anche per ospedali pubblici stranieri che cercano di convincerli a trasferirsi all’estero. I medici, sopratutto giovani, vengono corteggiati piano piano – avverte il presidente – Dai primi approcci si passa ai colloqui, poi al breve soggiorno nella città con visita alle strutture, e poi alle offerte di benefit come la casa o un tutor che si occupa di tutte le questione burocratiche, nel Paese straniero e in Italia. Poi ci sono gli stipendi che arrivano a essere il doppio e in alcune realtà il triplo di quelli del Ssn. Per non parlare della possibilità di fare carriera e di avere un riconoscimento che in Italia negli anni si è perso sotto il peso della continua svalutazione della professione”.
Anche l’Anaao Assomed Veneto, l’associazione medici e dirigenti del Ssn, sta monitorando il fenomeno “e siamo molto preoccupati per le conseguenze – osserva Adriano Benazzato, segretario Anaao Veneto – C’è il rischio di una fuga dagli ospedali e di un serio problema per i servizi erogati ai cittadini. All’estero sanno che la sanità del Veneto funziona e puntano a portarci via chi la fa funzionare, ovvero i medici”.
Secondo il presidente dell’Omceo Vicenza, è necessario “contestualizzare il fenomeno della fuga all’estero dei medici. In Veneto è certificata una carenza di 1.295 medici ospedalieri – ricorda Valente – e in alcuni territori cominciano a mancare anche i medici di famiglia. Fatta questa premessa, c’è anche l’ulteriore problema che qui in Italia i professionisti stranieri non vogliono venire a lavorare. L’Ulss di Treviso, tramite la Camera di Commercio, ha cercato in Romania, Polonia e Ungheria medici disponibili a venire a lavorare in Veneto. Ebbene, nessuno ha risposto. Questo perché l’Italia oggi non è appetibile. In Francia il medico di famiglia percepisce 30 euro per ogni visita a domicilio e in un ospedale pubblico come primo stipendio si prendono 5.500 euro al mese”.
“Al mio Ordine – prosegue Valente – sono iscritti 4.050 colleghi e ogni anno sono 150 i neo iscritti, tutti molti bravi. Non è facile frenare la loro fuga all’estero e anche monitorare il fenomeno. Non è un esodo organizzato, ma avviene tutto con il passaparola e appunto con questi talent scout. Non c’è più, come un tempo, il muro delle lingue. Tutti i ragazzi sanno bene l’inglese o hanno avuto già esperienze formative in altri Paese con l’Erasmus. Ora non si sceglie di andare via dall’Italia perché non c’è meritocrazia, ma perché la professione medica è diventata molto più complicata e con tanti ostacoli da superare”.
Nei giorni scorsi a Padova si è tenuta una riunione tra gli Ordini dei medici e la direzione generale della sanità del Veneto. “Dobbiamo tornare a rendere appetibile il lavoro del medico del Ssn – suggerisce Valente – tornare a dare serenità e motivazioni. Non una dimensione romantica che è ovvio i tempi di oggi non permettono, ma migliorare il rapporto con i pazienti e far capire che il medico lavora per la loro salute. La Regione Veneto – conclude – fa un discorso un po’ diverso. Vede nell’autonomia una possibile soluzione a questi problemi, ma non mi sembra la scelta migliore. Ormai il medico sta diventando una merce rara e gioco forza le cose preziose vengono a costare di più. Un prezzo da pagare non solo economico, ma come riconoscimento sociale e culturale, che nel nostro Paese è venuto meno”.
(Fonte: Adnkronos)