Cartilagine su chip per cure
migliori contro l’osteoartrosi
Un chip per ‘mimare’ l’osteoartrosi (Oa), fra le malattie più diffuse nell’Italia che invecchia, e progettare farmaci più efficaci in grado di combatterla. Lo hanno messo a punto gli scienziati del Laboratorio MiMic (Microfluidic and Biomimetic Microsystems) del Politecnico di Milano, nell’ambito di una ricerca pubblicata su ‘Nature Biomedical Engineering’ e condotta dal PoliMi insieme a due centri svizzeri: l’ospedale universitario di Basilea e quello di Zurigo. Sul sofisticato chip, grande quanto una moneta – spiegano dall’ateneo meneghino – è possibile coltivare cartilagine, il tessuto bersaglio dell’Oa, e sottoporla a stimoli meccanici specifici così da riprodurre gli effetti della patologia e studiare strategie migliori per contrastarla.
Il progetto – denominato ‘uKNEEque’ – è guidato da Marco Rasponi del PoliMi, centro coordinatore della ricerca, con Andrea Barbero dell’University Hospital di Basilea, centro partner. Oltre a produrre il chip, sperimentandolo i ricercatori hanno anche osservato che l’iperstimolazione meccanica della cartilagine sembra sufficiente a indurre l’osteoartosi, senza ricorrere alla somministrazione di molecole infiammatorie come fatto finora. Un’opportuna compressione del tessuto cartilagineo porta infatti ai sintomi caratteristici dell’Oa: infiammazione, ipertrofia e aumento dei processi di degradazione. Nella ‘cartilagine su chip’ si crea quindi “un ambiente ideale in cui testare l’efficacia e i meccanismi d’azione di farmaci – sottolineano gli esperti – accorciando tempi e costi sperimentali e diminuendo la necessità di test su animali”.
L’obiettivo è proseguire la ricerca fino a ottenere un modello dell’intera articolazione suscettibile all’Oa (per esempio un ‘ginocchio su chip’), grazie a un progetto di Fondazione Cariplo finanziato in risposta alla call ‘Ricerca biomedica sulle malattie legate all’invecchiamento 2018’.
L’osteoartrosi è la più diffusa patologia muscoloscheletrica, si legge in una nota del Politecnico di Milano. Colpisce circa il 10% degli uomini e il 20% delle donne sopra i 60 anni, cifre purtroppo destinate ad aumentare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. A dispetto di questa tendenza, tuttavia, i pazienti si trovano di fronte all’assoluta mancanza di terapie farmacologiche cosiddette Dmoad (Disese modifying Osteoartritis Drugs): farmaci capaci non solo di alleviare i sintomi, ma anche di fermare o invertire il processo degenerativo. Al momento le uniche opzioni valide sono trattamenti palliativi o l’intervento chirurgico.
Lo sviluppo di farmaci efficaci è stato ostacolato proprio dall’assenza di modelli sperimentali capaci di mimare adeguatamente la patologia, precisano gli esperti. Finora l’approccio più comune per ‘ricostruire’ l’Oa in vitro si è basato sulla somministrazione in espianti di cartilagine di dosi elevate di molecole capaci di indurre una risposta infiammatoria e qualche forma di catabolismo. L’Oa ottenuta in questo modo, però, riproduce solo parzialmente alcuni dei sintomi reali.
Il nuovo chip, al contrario, utilizza il sovraccarico meccanico che rappresenta uno dei fattori maggiormente correlati allo sviluppo dell’Oa, risultando più realistico ed efficace nello sviluppo e nello screening di farmaci.
(Fonte: Adnkronos)