Il coronavirus è arrivato in Italia, decretato lo stato d’emergenza
Il coronavirus cinese è arrivato in Italia. Da ieri una coppia di cittadini cinesi in viaggio a Roma è risultata positiva al test, e ricoverata in isolamento all’Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani di Roma. Ma ci sono altri 18 cittadini cinesi sotto osservazione perché facevano parte dello stesso gruppo della coppia in vacanza a Roma. “Sono arrivati ieri in autobus e sono sotto osservazione – spiega all’Adnkronos Salute Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani – le loro condizioni sono buone ma voglio rassicurare che l’ospedale è operativo e non chiuso come scritto da qualche giornale”. Per quanto riguarda la coppia positiva al coronavirus, era originaria di Wuhan, è in condizioni stabili come spiegato ieri dal diretto scientifico dello Spallanzani nella conferenza stampa con il premier Conte e il ministro della Salute Speranza a Palazzo Chigi.
Lo Spallanzani è comunque blindato ai giornalisti, gli ingressi sono presidiati dalla polizia e dai vigilantes, e sono poche le persone che entrano o escono dall’ingresso principali e tutti comunque preferiscono non commentare. Il Consiglio dei ministri riunito a Palazzo Chigi ha oggi decretato lo stato d’emergenza in relazione al caso coronavirus. Una misura, hanno spiegato fonti di Governo in precedenza, diretta conseguenza della decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di lanciare l’emergenza sanitaria globale. “E’ una semplice presa d’atto della scelta dell’Oms”. Non è la prima volta di uno stato di emergenza sanitario. Era già accaduto infatti con l’epidemia Sars.
Intanto, è salito a 213 morti il bilancio dell’epidemia in Cina, mentre i casi di contagio confermati sono 9.692. Lo ha riferito la Commissione nazionale della sanità cinese, secondo cui 1.527 pazienti sono in condizioni critiche, mentre oltre 15 mila persone sono sospettate di aver contratto il coronavirus. Ieri, sottolineano le autorità cinesi, si sono registrati 1.982 nuovi casi confermati e 4.812 sospetti. I morti sono stati 43, la maggior parte nella provincia di Hubei, epicentro del contagio, e uno in quella di Heilongjiang.
IL SONDAGGIO: PREOCCUPATO IL 78% DEGLI ITALIANI
Il coronavirus cinese preoccupa gli italiani, e c’è chi è già chi ha deciso di evitare i mezzi pubblici per proteggersi. A testimoniarlo sono i risultati di un sondaggio realizzato per l’Adnkronos Salute dall’Eurodap (Associazione europea per il disturbo da attacchi di panico). Dall’indagine, a cui hanno partecipato 671 uomini e donne, è infatti emerso che la maggior parte dei partecipanti (78%) si è detta preoccupata per la diffusione del patogeno e dalle ingenti misure di sicurezza attuate per limitare la diffusione del virus.
Il 64% degli intervistati, inoltre, ha detto che in caso di sintomi influenzali contatterà o si recherà immediatamente da un medico o in una struttura sanitaria, cosa che generalmente non avrebbe fatto. E c’è chi ha già preso le prime contromisure: il 56% ha dichiarato di fare maggiore attenzione all’igiene; e una piccola percentuale pari al 21%, in questo periodo ha deciso di evitare i mezzi pubblici. Attenzione però: “La paura ci fa ammalare di più. Nel senso che gli stati emotivi possono agire sul corpo e influenzarlo, portando a un abbassamento delle difese immunitarie”, avverte Eleonora Iacobelli, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’Eurodap.
I pericoli per la salute hanno la capacità di smuovere angosce profonde e, anche se non si può ancora parlare di ‘panico da coronavirus’, “è evidente che l’allerta in Italia è di gran lunga superiore alla pericolosità del virus. Un certo grado di responsabilità – dice Iacobelli – ce l’hanno anche i media che, con le immagini di aeroporti praticamente militarizzati, folle con la mascherina sul volto e controlli a tappeto, hanno proposto una realtà di emergenza mondiale”. I mezzi di comunicazione fanno informazione, ma spesso il messaggio – avverte l’esperta – è veicolato in maniera più allarmistica rispetto alla realtà. “Ciò ha fatto sì che molti vivano già la situazione come se anche in Italia fossimo in pandemia. Bisognerebbe vivere questo ennesimo momento di allarme con consapevolezza, senza ingigantirlo”. Una maggiore attenzione e una corretta igiene sono sicuramente raccomandabili, ma senza sviluppare comportamenti di controllo ossessivi, ammoniscono gli esperti di Eurodap.
L’ESPERTO: “NON SI PUO’ PROMETTERE VACCINO IN POCHI GIORNI”
“Credo che francamente nessuno possa promettere” che contro il nuovo coronavirus “ci sia un vaccino efficace nell’uomo fra 3 mesi”, o addirittura 40 giorni come prospettato da ricercatori di Pechino. “Metterlo a punto e dimostrarne l’efficacia è un percorso a ostacoli che richiede tempo”. A spiegarlo all’AdnKronos Salute è l‘immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University, commentando le prime due positività al nuovo coronavirus cinese registrate in Italia.
In questa situazione, evidenzia lo scienziato italiano più citato al mondo, “la prima linea di difesa è mettere in campo misure di contenimento e avere dei test rapidi e a basso costo per le diagnosi. Perché ricordiamo che l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato un’emergenza globale” e quindi la risposta “va pensata in ottica globale”. “Più a lungo termine – prosegue Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e docente di Humanitas University – ci sono i farmaci e il vaccino, che è una sfida scientifica. Nel caos dell’emergenza Ebola di qualche anno fa il percorso è stato estremamente rapido e si è arrivati alla dimostrazione clinica nel giro di un paio di anni. Quindi dobbiamo essere onesti. E dire per esempio che per altre infezioni come la tubercolosi o la Dengue abbiamo vaccini che non sono soddisfacenti. Dobbiamo ricordare anche i fallimenti, come per esempio è successo per l’Hiv. E’ un problema di ricerca scientifica, una sfida da raccogliere. E mi piace sottolineare che in questo Paese opera il più grande vaccinologo vivente e si chiama Rino Rappuoli. Uno scienziato premiato l’anno scorso con il prestigioso premio Robert Koch, che oltre al suo lavoro nell’industria farmaceutica peraltro gestisce anche un istituto non profit che si occupa di malattie nei Paesi del terzo mondo”.
Sul fronte vaccini quindi “l’Italia può dire la sua – conclude – Anche per Ebola è stato così. Il lavoro di ricerca di base per il vaccino contro quel virus è stato fatto in questo Paese. I vaccini scoperti e prodotti in Italia hanno contribuito a migliorare la salute del mondo. Abbiamo una grande tradizione e siamo inoltre grandi produttori ed esportatori di farmaci, Ci sono tutti gli strumenti per dare un contributo”.
(Fonte: Adnkronos)