Videocapsula endoscopica, gli esperti:
“In Italia uso non ancora omogeneo”
Nonostante l’importanza della videocapsula endoscopica, il suo utilizzo non è ancora omogeneo nel sistema sanitario italiano. È quanto emerso dal convegno Rave (Riunione annuale videocapsula endoscopica) che si è svolto a Vimercate, alle porte di Milano. In assenza di una normativa nazionale unica sulla rimborsabilità della tecnica, in alcune regioni risulta ancora tariffata come procedura ambulatoriale, mentre in altre richiede un ricovero ospedaliero. Nel nostro Paese l’impiego della capsula endoscopica risulta quindi ancora in controtendenza rispetto agli standard degli altri principali Paesi europei: in Francia ad esempio si stimano 25.000 casi all’anno, contro i circa 7.500 nella Penisola.
Nel 2017 la metodica è stata inserita nei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), permettendo così la teorica unificazione della tariffazione su tutto il territorio nazionale. Non tutte le Regioni però si sono adeguate. Quelle che ad oggi rimborsano l’esame con videocapsula come procedura ambulatoriale sono il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Basilicata, le Marche, il Piemonte, il Trentino Alto Adige, la Valle d’Aosta, l’Umbria e la Puglia.
“La scienza ha ormai dimostrato inequivocabilmente che, per la situazione di sanguinamento intestinale più frequente, quella a partire dall’intestino tenue, l’analisi diagnostica va eseguita tramite videocapsula”, ha affermato Marco Pennazio, divisione di Gastroenterologia universitaria, Azienda ospedaliero-universitaria, Città della Salute e della Scienza di Torino. “L’efficacia di questo mezzo può portare anche a una riduzione dei costi, essendo un percorso diagnostico più corto e che impiega minori risorse – ha evidenziato – Purtroppo in Italia viviamo ancora in una situazione a macchia di leopardo. In alcune regioni non si può utilizzare la videocapsula perché non è rimborsata dal sistema sanitario, mentre negli Usa hanno addirittura deciso di adottare il dispositivo dopo i risultati di uno studio italiano. Un paradosso frustrante”.
“La capsula endoscopica sta avendo un’evoluzione rapidissima, legata a quella informatica”. Sono le parole di Renato Cannizzaro, direttore di Gastroenterologia oncologica sperimentale al Centro di riferimento oncologico-Cro di Aviano (Pordenone), intervenuto al convegno. “Siamo riusciti ad analizzare tratti intestinali che prima non potevamo raggiungere – ha evidenziato l’esperto – ma anche a seguire e monitorare le varie patologie, il loro sviluppo e la risposta ai trattamenti. Abbiamo farmaci che portano alla guarigione quasi totale delle lesioni interne e, grazie alla capsula, adesso possiamo monitorare la loro evoluzione. Così facendo potremmo diminuire la probabilità di insorgenza di alcuni tumori intestinali, come quello al piccolo intestino. Probabilmente il prossimo sviluppo della capsula endoscopica sarà influenzato dall’evoluzione dell’intelligenza artificiale, campo tecnologico in cui ancora possiamo migliorare”.
La videocapsula endoscopica – hanno ricordato i medici – è oggi disponibile in quattro modelli, ciascuno ottimizzato per un preciso segmento o patologia gastrointestinale (intestino tenue, intestino crasso, tratto gastrointestinale superiore, malattia di Crohn) e in base al tipo di indagine richiesta. Una metodica non invasiva indicata ad esempio per i casi di sanguinamento dell’intestino tenue, come in tutti i casi non rilevabili con colonscopia e gastroscopia. Negli ultimi anni, poi, si è visto che la capsula può essere utilizzata anche in caso di celiachia che non risponde al trattamento, nei casi di malattia di Crohn difficili da diagnosticare (con particolare attenzione a quella che colpisce l’intestino tenue), in caso di malattie genetiche che possono portare al tumore dell’intestino, come la sindrome di Peutz-Jeghers, o se si sospetta la presenza di polipi.
“Grazie allo sviluppo e alla diffusione della videocapsula, si sono aperte nuove possibilità di diagnosi relative alla malattia di Crohn, soprattutto nel piccolo intestino, dove prima era difficilmente riconoscibile – ha affermato Maurizio Vecchi, professore di Gastroenterologia all’università degli Studi di Milano e direttore del reparto di Gastroenterologia al Policlinico del capoluogo lombardo – L’immagine che può dare la videocapsula delle alterazioni mucose caratteristiche della malattia di Crohn è estremamente sensibile. Inoltre è sempre più importante la stadiazione di questa patologia, capire cioè quanto e come è diffusa nell’intestino, per avere una visione più completa e adottare la giusta strategia terapeutica. La malattia di Crohn, inoltre, è una malattia infiammatoria cronica che aumenta il rischio di formazione di adenocarcinomi. Controllare la malattia riduce significativamente questi rischi”.
(Fonte: Adnkronos)