L’infermiera: “Ho cantato ai pazienti che non potevo tenere per mano”
(di Raffaella Ammirati) – ‘New York, New York’ per la paziente anziana che chiede continuamente attenzione, rimasta in Pronto soccorso 10 giorni in attesa di un posto in una struttura Covid. E ‘Mamma son tanto felice’ per l’uomo giovane, con la maschera per l’ossigeno, peggiorato e deceduto improvvisamente in poche ore. “Ora non riesco più a sentire quella canzone senza piangere”, racconta all’Adnkronos Salute Claudia Irto, infermiera di 30 anni in servizio all’ospedale di Castellammare di Stabia (Napoli), che per confortare i pazienti positivi al nuovo coronavirus – spaventati e soli, senza la vicinanza dei propri cari anche nei momenti più drammatici – ha cantato per loro, “visto che non potevo tenere la mano anche a chi stava morendo”.
Ogni contatto, infatti, “significa doversi svestire completamente e cambiare tuta e camici. E questi dispositivi sono contati”, ricorda nella Giornata internazionale dedicata agli infermieri. La prima settimana dell’emergenza “abbiamo lavorato senza protezioni adeguate – prosegue Claudia – ma fortunatamente poi sono arrivate e abbiamo potuto lavorare con più serenità”, seppure con maggiore fatica, perché portare i dispositivi “è dura. E’ faticoso fisicamente, la pelle si secca, si irrita e non è possibile andare in bagno per ore, per evitare di contaminare i dispositivi di protezione”. Eppure “il mio lavoro mi piace. Quello che stiamo facendo oggi lo facciamo ogni giorno, anche in momenti meno drammatici, con la stessa dedizione. E mi disturba, se devo essere sincera, sentire ora le persone che ci chiamano ‘eroi’. Mi dispiace che abbiamo dovuto attraversare una tragedia perché ci si accorgesse del nostro lavoro”, aggiunge Claudia.
“Ho la consapevolezza che il mio lavoro comporta dei rischi – continua – oggi più elevati, ma comunque presenti anche in tempi normali. E’ un rischio che mi assumo. Ma ovviamente non posso farlo assumere alla mia famiglia, nel mio caso i miei genitori, mia sorella e mio nonno. Per questo, come hanno fatto tutti i miei colleghi, dall’inizio dell’emergenza sono andata a vivere con una mia collega. Lei ha lasciato i suoi tre figli per questo periodo. Ma è un sacrificio necessario”. Nonostante le precauzioni nel suo Pronto soccorso si sono infettati, oltre a due medici poi ricoverati, tre infermieri “senza gravi conseguenze per fortuna. Ma questo ha sicuramente aumentato il carico emotivo”, dice Claudia che, comunque, riesce a vedere anche dei lati positivi, dal punto di vista professionale, in questa drammatica emergenza.
“Il lavoro in Pronto soccorso – ricorda l’infermiera – è sempre emotivamente coinvolgente e molto faticoso. La nostra struttura è la più grande tra Napoli e Salerno. In tempi normali abbiamo anche 300 accessi al giorno. E si va sempre di fretta per riuscire a seguire tutti. Il tempo è sempre limitatissimo. Con l’emergenza coronavirus abbiamo dovuto riorganizzare gli spazi. Utilizzare persino la cucina per approntare dei posti in più. Ma il numero dei pazienti è stato ovviamente minore. Gli spazi ‘no Covid’ praticamente sempre vuoti. Una condizione che ci ha permesso di dedicarci personalmente di più a ciascuno dei pazienti, spesso costretto a rimanere alcuni giorni in Pronto soccorso in attesa di un letto in strutture Covid”.
Più tempo per l’assistenza alla persona, con la sua paura e la sua solitudine. “Siamo stati e siamo l’unica possibilità di contatto dei pazienti Covid con le famiglie – osserva – Gli unici a poter loro comprare una bottiglia d’acqua. Gli unici, nei casi peggiori, a poterli confortare e anche a versare le prime lacrime quando abbiamo assistito all’aggravamento improvviso e fatale della malattia”.
Nel cuore di Claudia, più di tutti, resta l’anziana proveniente da una Rsa, che fortunatamente ora sta bene, a cui cantava New York New York, ricorrendo al suo talento di cantante amatoriale. “Non è rimasta solo nel mio cuore. Anche i miei colleghi l’avevano adottata: le hanno anche regalato una bambola”. E poi c’è l’uomo con cui ha cantato insieme ‘Mamma son tanto felice’ solo poco prima che si aggravasse. “Abbiamo dovuto avvertire sua moglie, che non lo avrebbe più rivisto e che, come è accaduto purtroppo ad altri, non avrebbe potuto nemmeno fare il funerale. E’ una tristezza difficile da cancellare”.
(Fonte: Andkronos)