La balena di Leonardo non è
un mostro marino, ma un cetaceo fossile
Non un mostro marino, ma un fossile di cetaceo: è stato svelato il mistero della balena di Leonardo da Vinci, che secondo un nuovo studio internazionale rappresenta la più antica descrizione ad oggi nota di un reperto paleontologico. Lo rivela una ricerca congiunta delle università di Pisa e di San Diego in California: gli specialisti hanno analizzato alcuni passaggi del Codex Arundel, l’imponente raccolta di manoscritti leonardiani autografi conservata presso la British Library di Londra, arrivando alla conclusione che l’autore della Gioconda non fu solo pittore, scultore, disegnatore, architetto, anatomista, ingegnere e filosofo, ma anche uno dei precursori della moderna geologia.
“L’analisi suggerisce che le riflessioni di Leonardo sulla geologia e in particolare sui fossili potrebbero essere state ancora più ampie, includendo anche i vertebrati marini. Leonardo si dimostra pertanto anche precursore della paleontologia dei vertebrati, oltre 300 anni prima di George Cuvier, il grande naturalista francese padre di questa disciplina”, si legge nello studio, appena pubblicato su ‘Historical Biology’ a firma di Alberto Collareta, Marco Collareta e Giovanni Bianucci dell’università di Pisa, e da Annalisa Berta dell’università di San Diego.
Un censimento dei rinvenimenti di cetacei fossili toscani dimostra come, nel corso degli ultimi 2 secoli, almeno 8 località toscane nelle vicinanze di Vinci abbiano restituito resti fossili significativi di grandi balene. Pertanto, “piuttosto che una divagazione fantastica su temi della letteratura antica, il testo leonardiano sul mostro marino sembra rappresentare la più antica descrizione ad oggi nota di un cetaceo fossile”, sostiene Bianucci, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo pisano. “Uno dei fogli che costituiscono il Codex Arundel – riferisce Alberto Collareta, paleontologo dello stesso Dipartimento – contiene la descrizione delle spoglie di un poderoso mostro marino che è stata a lungo interpretata come divagazione fantastica o metaforica del giovane Leonardo, se non come vera e propria rielaborazione poetica di presunte letture classiche del genio toscano”. In realtà il testo leonardiano partirebbe da un’osservazione di una balena fossile.
Sottolinea l’esperto che “la Toscana di Leonardo è una vera e propria ‘terra di balene’: fossili, ovviamente. Infatti, durante il Pliocene buona parte del territorio toscano era sommerso da un mare popolato da una grande varietà di organismi. Buona parte delle colline toscane, compresi i rilievi su cui sorge Vinci, è costituita prevalentemente da sabbie e argille depositatesi su antichi fondali marini e ancora oggi custodisce resti delle faune marine plioceniche. Reperti fossili di balene, delfini, dugonghi e squali – insieme a resti di molluschi, crostacei e altri invertebrati – sono spesso rinvenuti nei campi di girasoli, nei vigneti, ai piedi dei calanchi e lungo i fianchi delle colline che si sviluppano sui terreni pliocenici toscani. Ne sono prova la recente scoperta del delfino estinto Casatia thermophila, un lontano parente del narvalo e del beluga attuali (cetacei artici per eccellenza), che 5 milioni di anni fa abitava il mare (tropicale!) del Grossetano, e la ricca collezione di cetacei fossili toscani (tra cui figurano alcuni rinvenimenti ottocenteschi) in esposizione presso il Museo di Storia naturale dell’università di Pisa”.
“E’ proprio da questo ricco scenario paleontologico – prosegue Bianucci – che abbiamo deciso di riconsiderare la questione del mostro marino leonardiano. Sono troppe, a nostro avviso, le assonanze con l’aspetto delle balene fossili che, sino dal XVIII secolo, sono note attraverso il ritrovamento di fossili che, nel complesso, hanno permesso di scrivere un capitolo importante della storia evolutiva dei cetacei”.
“La nostra attenzione – continua Marco Collareta, storico dell’arte del Dipartimento di Civiltà e Forme del sapere dell’università di Pisa – si è dapprima focalizzata su un’attenta analisi del testo leonardiano e sui presunti riferimenti alla caverna. Nonostante Leonardo menzioni, in una frase incompleta (‘per le chavernose e ritorte interiora’), il termine ‘cavernoso’, quest’ultimo ha nei testi leonardiani un significato prevalentemente tessiturale – è cioè un’indicazione di porosità e permeabilità ai fluidi – ed è utilizzato da Leonardo in riferimento alla capacità delle rocce (e, più in generale, della Terra) di permettere la percolazione delle acque piovane”.
L’intera espressione “per le chavernose e ritorte interiora”, nel linguaggio leonardesco e in generale dell’epoca – osserva ancora l’esperto – non si adatta a descrivere un antro sotterraneo quanto piuttosto l’aspetto dello scheletro fossile o dei sedimenti inglobanti. Inoltre, il fatto che il foglio che contiene la descrizione del mostro marino sia posto, nell’attuale impaginazione del Codex Arundel, a seguito di un foglio il cui testo tratta della visita di Leonardo a una caverna, non è indice di consequenzialità logica o cronologica tra i due brani. Il Codex Arundel fu infatti assemblato dopo la morte di Leonardo e i fogli che lo compongono, forse derivanti da più fonti, furono artificialmente riaggregati in raccolte ‘miscellanee’. Dunque Leonardo scrive chiaramente di aver visitato una grotta in gioventù, alla ricerca di meraviglie custodite dalle viscere della terra, ma non vi trovò certo i resti del ‘mostro marino’.
“Esistono tuttavia molte indicazioni – evidenzia Alberto Collareta – che suggeriscono che il giovane Leonardo abbia davvero osservato una balena fossile e che questo avvenimento abbia significativamente indirizzato la sua riflessione paleontologica e geoscientifica in un senso straordinariamente moderno. Leonardo sembra infatti compiere vere e proprie considerazioni tafonomiche (relative cioè allo stato di conservazione del fossile da lui descritto) sui resti del mostro marino; inoltre il retro del foglio su cui tale descrizione è riportata ha inizio con una breve frase relativa all’osservazione di due strati di conchiglie fossili, e all’impossibilità razionale di spiegarli entrambi attraverso il solo Diluvio Universale”.
Chiare rielaborazioni del testo sul mostro marino compaiono poi in un altro manoscritto leonardiano, in cui la superficie terrestre è descritta come in continua trasformazione e capace persino di ‘fagocitare’ le vestigia delle antiche civiltà. Qui il mostro marino è persino descritto ripetutamente come ‘setoluto’, un termine che ricorda i fanoni, strutture cornee filamentose che caratterizzano le balene attuali. Il passaggio leonardiano sul mostro marino contiene inoltre espliciti riferimenti alla ‘incommensurabilità’ del tempo geologico (“quanti re quanti popoli [h]ai tu disfatti… po’ che la maravigliosa forma di questo pesce qui morì”) che ha visto l’ambiente intorno alle spoglie del mostro marino mutare radicalmente, da mare divenendo infine terraferma attraverso ‘nuove e varie abitazioni’. La collocazione del mostro marino, che Leonardo descrive come facente da “armadura e sostegno” ai rilievi circostanti, suggerisce inoltre un posizionamento lungo il fianco di una collina, uno scenario perfettamente compatibile con le condizioni più tipiche del rinvenimento delle balene fossili toscane.
(Fonte: Adnkronos)