La popolazione mondiale calerà dal 2064, Italia dimezzata nel 2100
La popolazione mondiale potrebbe aver imboccato la strada che la porterà in poco più di 40 anni al giro di boa: secondo un maxi studio di modellizzazione pubblicato su ‘The Lancet’ si raggiungerà il picco nel 2064 a circa 9,7 miliardi di persone presenti sul pianeta e poi comincerà l’inversione di tendenza che farà scendere gli abitanti globali a quota 8,8 miliardi a fine secolo, con 23 paesi, fra cui l’Italia, che vedranno ridursi le loro popolazioni di oltre il 50%.
Appena ieri i dati Istat segnavano un nuovo minimo storico nelle nascite del Belpaese. Oggi l’Italia torna di nuovo protagonista nell’analisi degli scienziati dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) alla School of Medicine dell’University of Washington. Gli esperti segnalano che entro il 2100 sui 195 Paesi del mondo protagonisti dello studio, 183 non avranno tassi di fertilità abbastanza alti (trovandosi al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 nascite per donna) da mantenere le popolazioni attuali senza politiche di immigrazione liberale. Per l’Italia si stima un tasso di fecondità totale a 1,2, in Polonia intorno a 1,17.
Nello specifico la popolazione dell’Italia, che si è già lasciata alle spalle il picco di 61 milioni di abitanti raggiunto nel 2014, crollerà a circa 30,5 milioni nel 2100, più che dimezzata nel corso del secolo. Destino condiviso con la Spagna (da 46 milioni nel 2017 a circa 23 milioni di persone nel 2100). Effetti economici? Mentre si prevede che Regno Unito, Germania e Francia rimarranno tra i primi 10 Paesi per Pil, entro fine secolo si prevede che Italia e Spagna scenderanno nelle classifiche: da nona e 13esima più grande economia globale nel 2017 piomberanno rispettivamente al 25esimo e 28esimo posto nel 2100.
Del resto, le previsioni degli esperti vedono la popolazione del Regno Unito in crescita dai circa 67 milioni del 2017 a circa 71 mln nel 2100, con un’aspettativa di vita che da 81 anni del 2017 è destinata a salire a quasi 85 nel 2100. Fra i 23 Paesi che vedranno dimezzarsi le popolazioni figurano anche realtà come il Giappone (da 128 mln a 60 mln), o la Thailandia. In Portogallo nel 2100 potrebbero esserci solo 5 milioni di persone. Ma si prevedono cali drastici nelle popolazioni in età lavorativa anche in Paesi come l’India e la Cina, “cosa che – segnalano gli esperti – ostacolerà la crescita economica”.
Le previsioni contenute nel nuovo studio sono inferiori di 2 miliardi circa rispetto ad alcune stime precedenti. La ricerca ha utilizzato i dati del Global Burden of Disease Study 2017 per proiettare la futura popolazione globale, regionale e nazionale e gli scienziati hanno utilizzato nuovi metodi per i loro calcoli. Gran parte del previsto declino della fertilità riguarda in realtà i Paesi ad alta fertilità, in particolare nell’Africa sub-sahariana, dove i tassi dovrebbero scendere per la prima volta sotto il livello di sostituzione, da una media di 4,6 nascite per donna nel 2017 a solo 1,7 nel 2100. Nel Niger, dove il tasso di fertilità era il più alto del mondo nel 2017 – con le donne che hanno partorito una media di 7 bambini – si prevede un crollo a circa 1,8 entro il 2100.
Ma nel frattempo si prevede comunque che la popolazione dell’Africa sub-sahariana triplicherà nel corso del secolo, per via anche di fattori come il calo della mortalità. Il Nord Africa e il Medio Oriente sono l’unica altra regione che prevede una popolazione più ampia nel 2100 rispetto al 2017. Ovviamente si tratta di previsioni, sensibili a cambiamenti enormi sollecitati da modifiche nei fattori in gioco. Per esempio, anche lievi cambiamenti nel tasso di fecondità totale (Tfr) si traducono in grandi differenze nelle dimensioni della popolazione nei Paesi al di sotto del livello di sostituzione: se il Tfr cresce di appena 0,1 nascite per donna, ciò equivale a circa 500 milioni di persone in più sul pianeta nel 2100.
Le politiche di immigrazione liberale “potrebbero aiutare a mantenere la dimensione della popolazione e la crescita economica anche se diminuisce la fertilità”. Ma gli autori avvertono che la risposta al declino della popolazione “non deve compromettere i progressi sulla libertà e sui diritti riproduttivi delle donne”. Previsioni demografiche “che – fanno notare gli esperti – contrastano con le proiezioni di ‘continua crescita globale’ da parte della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite”. Questa “non è più la traiettoria più probabile per la popolazione mondiale”, afferma il direttore dell’Ihme, Christopher Murray, che ha guidato la ricerca. Lo scenario tratteggiato, ragionano gli autori, “mette in luce le enormi sfide poste da una forza lavoro in calo, dall’elevato carico per i sistemi sanitari e di sostegno sociale rappresentato da una popolazione che invecchia, e l’impatto sul potere globale legato ai cambiamenti nella popolazione mondiale”.
Il nuovo studio prevede enormi cambiamenti anche nella struttura dell’età globale, con una stima di 2,37 miliardi di over 65 nel mondo nel 2100, rispetto a 1,7 miliardi di under 20. Gli over 80 supereranno gli under 5 con un rapporto di 2 a 1. Si prevede infatti che il numero di bambini di questa fascia d’età diminuirà del 41% (da 681 mln nel 2017 a 401 mln nel 2100), mentre si prevede che il numero di persone di età superiore a 80 anni aumenterà di 6 volte (da 141 a 866 milioni).
“Questo studio – osserva Murray – offre ai governi di tutti i Paesi l’opportunità di iniziare a ripensare le loro politiche in materia di migrazione, forza lavoro e sviluppo economico per affrontare le sfide poste dal cambiamento demografico”. “Il declino della popolazione può essere positivo per la riduzione delle emissioni di carbonio e il minore stress sul sistema alimentare – conclude Stein Emil Vollset, primo autore dell’articolo – Ma i nostri risultati suggeriscono che il calo del numero di soli adulti in età lavorativa ridurrà i tassi di crescita del Pil e potrebbe determinare importanti cambiamenti nel potere economico globale entro fine secolo. La risposta al declino della popolazione diventerà probabilmente una preoccupazione politica prioritaria in molte nazioni”.
(Fonte: Adnkronos)