Attenzione al parassita nel pesce crudo,
ecco come difendersi
Estate e voglia di pesce, se fresco e crudo ancora meglio. Spesso però dentro potrebbe nascondersi un ospite davvero pericoloso: l’anisakis. Un nematode parassita che infesta molte tipologie di pesce e che in determinate condizioni può essere ingerito dall’uomo provocando una grave infezione. Con l’aumento da parte degli italiani della voglia di crudité stanno crescendo infatti anche i casi di intossicazione legati a questo parassita che vive nell’apparato digerente di pesci e mammiferi marini. L’ultimo quello registrato a inizio agosto nel Salento. Una cena a base di pesce e poi dolori e un veloce aggravamento delle condizioni fino alla morte di un commensale.
“Negli ultimi anni c’è stato un aumento dei casi dovuto alla diffusione nei menù dell’offerta di pesce crudo – spiega all’Adnkronos Salute Mauro Minelli, immunologo e referente per il Sud Italia della Fondazione medicina personalizzata – l’anisakis aggredisce l’uomo in 4 forme diverse: una strettamente gastrico-intestinale che può partire da 12 ore fino a 7 giorni dopo il pasto. Si manifesta con dolori di stomaco, nausea, vomito e febbricola. Poi c’è una forma decisamente più grave, extra gastrointestinale, che si verifica quando la larva di anisakis perfora l’intestino, perché dotata di un uncino, e arriva alla cavità del peritoneo o fino alla cavità pleurica, danneggiando la respirazione. L’anisakis – prosegue Minelli – rilascia infatti alcune sostanze di sua produzione che cominciano a creare erosioni emorragiche che si rivelano però solo con l’autopsia”.
“Poi – prosegue l’immunologo – c’è la forma più comune quella immuno-allergica, ovvero quando è in grado di allergizzare il soggetto che viene a contatto con il parassita. Se la persona è predisposta comincia a produrre immunoglobuline di classe IgE che sono quelle che danno la reazione allergica: una orticaria molto brutta che può persistere per mesi, con possibili edema e gonfiore del viso”.
Il rischio di contrarre l’infezione è dato dall’abitudine di consumare pesce crudo o poco cotto. “L’infezione infatti è molto frequente nei paesi dove il pesce viene mangiato al naturale, leggermente sottaceto o sotto sale – ricorda l’Istituto Superiore di Sanità – la Scandinavia (fegato di merluzzo), il Giappone (consumo di sushi e sashimi), l’Olanda (aringhe fermentate), il bacino del Mediterraneo (alici crude o marinate) e la costa Pacifica del Sud America (insalata di mare nota come ‘ceviche’). Nel Mediterraneo il parassita è estremamente diffuso, e vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato”.
Ma come possiamo mangiare pesce crudo senza rischi? L’immunologo Minelli stila sette regole che posso aiutarci ad evitare questo incontro così pericoloso:
1) Non devono esserci proibizioni assolute nel consumare pesce crudo ma occorre essere consumatori consapevoli e sapere quali sono i rischi e quali sono le contromisure che vanno prese a casa e al ristorante, il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare una infezione da anisakis;
2) Cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, anche le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 78 gradi per almeno 10 minuti;
3) La normativa Ue – ricorda l’immunologo – stabilisce l’obbligo per chi vende o per i ristoranti che servono pesce crudo o in salamoia (sale, limone, olio e aceto non hanno alcun effetto sull’anisakis) di effettuare la procedura d’abbattimento preventivo del pesce destinato al consumo a crudo;
4) Se scoppia un’orticaria improvvisa, con difficoltà respiratoria e malessere, meglio contattare uno specialista per una corretta diagnosi;
5) Ricordarsi che i soggetti allergici dovrebbero evitare di mangiare pesce crudo perché potrebbe amplificare drammaticamente i quadri clinici in caso di infezione di anisakis;
6) Scegliere per le crudité pesci di taglia medio-grande che sono molto meno critici (tonno, dentice, spigola, orata) oppure cozze, vongole o ricci di mare;
7) Assicurarsi che anche in pescheria i vari prodotti ittici esposti alla vendita siano separati perché l’anisakis può passare da un esemplare all’altro.
In caso di diagnosi certa, che può avvenire con esami in grado di rivelare la presenza delle immunoglobuline di classe E (IgE) specifiche per il parassita, “si può intervenire con una terapia specifica antiparassitaria”, rassicura Minelli.
(Fonte: Adnkronos)