Covid, infermieri categoria più colpita
tra gli operatori sanitari
Dall’inizio della pandemia e fino al 30 aprile 2020, tra i tecnici della salute la categoria degli infermieri è stata quella più colpita (47,9%) dall’infezione da nuovo coronavirus. A seguire i medici, con il 20,5%, e gli operatori socio-sanitari, con il 19,7%. Guardando al genere, a essere maggiormente contagiate sono state le donne (67,4%) rispetto agli uomini (32,6%), con un’età media pari a 47,4 anni e mediana pari a 49 anni. Anche queste cifre confermano che a fronteggiare per primi un nemico dal profilo iniziale ancora indefinito sono stati gli addetti del sistema sanitario. I dati emergono dal documento sul monitoraggio degli operatori sanitari risultati positivi al Covid-19 nei primi mesi dell’emergenza epidemiologica, compiuto attraverso uno studio retrospettivo in 7 Regioni italiane.
La pubblicazione è frutto di un lavoro tecnico di ricerca curato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail), in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità (Iss) e con le Regioni Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Abruzzo, Puglia e Sicilia. Condiviso con il Comitato tecnico scientifico (Cts) istituito presso il dipartimento della Protezione Civile nella seduta del 5 marzo scorso, lo studio è consultabile online insieme agli altri documenti tecnici relativi all’emergenza sanitaria.
Nel report viene affrontato il tema del contagio tra gli operatori sanitari fotografando l’epidemia dai suoi albori, quando cioè la comparsa di un agente virale e di una patologia del tutto nuovi e sconosciuti ha determinato serie difficoltà per il sistema sanitario nazionale in termini di diagnosi, tracciamento e trattamento dei casi. Come viene ricordato in premessa, fin dalle primissime fasi il personale sanitario ha svolto un ruolo cruciale nella gestione dell’epidemia, sia per la cura in prima linea dei pazienti infetti, con il conseguente maggior rischio di esposizione, sia nell’assicurare la piena implementazione delle misure di prevenzione e controllo per il contenimento del contagio.
Nella ricerca Inail-Iss, le circa 16mila schede valide esaminate al termine del monitoraggio, provenienti dalle 7 Regioni citate e relative agli operatori sanitari risultati positivi durante la prima ondata dell’epidemia da Sars-CoV-2, hanno consentito di raggruppare le regioni in 4 macro-aree. In particolare la Lombardia rappresenta il Nord-Ovest (63,7%), il Veneto confluisce nel Nord-Est (19,6%), il Lazio e la Toscana afferiscono al Centro (10,8%) e l’Abruzzo, la Puglia e la Sicilia nella macro-area Sud e Isole (6,0%). Il contagio si è verificato prevalentemente in ospedale. Riguardo alla tipologia di struttura in cui sono avvenuti i contagi, dallo studio risulta che sul campione totale il 76,5% dei casi in esame ha operato prevalentemente in strutture di ricovero e cura. Tra queste, la maggior parte (94,2%) era costituita da strutture ospedaliere. A seguire, con il 4,2%, le strutture socio-sanitarie (residenze sanitarie assistenziali, case riposo/case famiglia, hospice).
La ricerca ha approfondito anche gli aspetti riguardanti in maniera più specifica il contagio da Covid-19. E’ emerso che gli operatori sanitari ospedalizzati sono stati 3.633, pari al 22,8% del campione totale, i ricoverati in terapia intensiva 197 (1,2%) e 63 gli operatori deceduti (0,4%). Quanto infine alle modalità di contagio, nei casi in cui questa informazione era disponibile, il 52,5% ha dichiarato di aver avuto un contatto in ambito famigliare o in altro ambito mentre il 47,5% ha sostenuto di aver avuto un contatto stretto in ambito lavorativo, di cui la parte prevalente è costituita dal contatto con un paziente.
Anche da questo documento, quindi, si rileva che all’inizio della pandemia si è registrata un’elevata diffusione di infezioni tra gli operatori sanitari, con percentuali molto alte rispetto ai casi riscontrati nella popolazione generale. Solo dopo diverse settimane, spiegano gli autori della ricerca, sono state registrate percentuali di assestamento intorno al 3-4%. Un risultato dovuto al miglioramento delle conoscenze, all’aumentata capacità di testing e di disponibilità dei dispositivi di protezione individuale, nonché alla campagna vaccinale iniziata a fine dicembre 2020. In questo modo è stato possibile mitigare il rischio, favorendo tra gli operatori sanitari una riduzione della curva dei contagi.
(Fonte: Adnkronos)