“Effetto Covid” sui tumori: sempre
più neoplasie in fase avanzata
La pandemia di Covid “pesa anche sull’assistenza oncologica, perché si osservano neoplasie in fase sempre più avanzata, come emerge da un’indagine che ha coinvolto 19 Anatomie patologiche, rappresentative dell’intero territorio nazionale. Nel 2020 sono stati eseguiti, senza terapia neoadiuvante, 5.758 interventi chirurgici alla mammella e 2.952 al colon-retto. Il numero delle operazioni è in calo rispetto al 2019 (-805 casi, pari al -12% per la mammella, e -464 casi, pari a -13% per il colon-retto). E le dimensioni della malattia al momento dell’intervento spesso sono maggiori di quelle rilevate nel periodo pre-Covid. Il calo dei tumori in situ operati è stato del 32% per il colon-retto e dell’11% per la mammella”. Inoltre, il “rischio di morte è raddoppiato per i malati oncologici con infezione da Sars-CoV-2”. E’ quanto evidenzia emerge dall’11esimo report ‘I numeri del cancro in Italia nel 2021’, presentato oggi a Roma all’Istituto superiore di sanità (Iss).
“A marzo e aprile 2020, a causa dell’esplosione dell’emergenza Covid, si è verificata la sospensione degli screening – spiega Paola Mantellini, direttrice Osservatorio nazionale screening (Ons) – Un’indagine condotta dall’Ons ha quantificato il ritardo accumulato nel 2020 rispetto al 2019 in termini di inviti, test e mesi standard. La riduzione degli inviti è stata pari al 33% per lo screening cervicale, al 31,8% per quello colorettale e al 26,6% per quello mammografico. La riduzione degli esami è stata pari al 45,5% per lo screening colorettale (-1.110.414 test), al 43,4% per quello cervicale (-669.742), al 37,6% per le mammografie (-751.879). Complessivamente, sono stati eseguiti circa 2 milioni e mezzo di screening in meno”.
“La paura del contagio ha avuto un peso determinante sulla partecipazione ai programmi di prevenzione – prosegue Mantellini – I mesi di ritardo sono stati pari a 5,5 per lo screening colorettale, a 5,2 per quello cervicale e a 4,5 per le mammografie. Sono state stimate anche le diagnosi mancate: oltre 3.300 per il tumore del seno, circa 1.300 per il colon-retto (e 7.474 adenomi avanzati in meno) e 2.782 lesioni precancerose della cervice uterina. E’ importante sottolineare che, per tutti e 3 i programmi, nell’autunno 2020 alcune Regioni sono riuscite a erogare più test rispetto al 2019, mettendo in evidenza una notevole capacità strategico-organizzativa”.
“Gli effetti del ritardo sulla diagnosi precoce sono al momento difficilmente quantificabili – afferma Diego Serraino, Centro di riferimento oncologico Irccs Aviano (Pordenone), direttore Registro tumori del Friuli Venezia Giulia – Le conseguenze cliniche, in particolare un possibile avanzamento dello stadio al momento della diagnosi, possono essere maggiori per lo screening mammografico e quello colorettale, come emerso dall’indagine condotta da Siapec, la Società italiana di anatomia patologica e di citologia diagnostica. E’ stato stimato che il 52% delle donne italiane cui è stato diagnosticato un tumore siano guarite o destinate a guarire. Tra gli uomini, tale percentuale è più bassa (39%) a causa della maggior frequenza di neoplasie a prognosi più severa. La frazione di guarigione supera il 75% per il cancro della prostata e, in entrambi i sessi, per quello della tiroide e i melanomi”.
“Per i pazienti, sapere di avere un’attesa di vita simile a quella delle persone non ammalate è di primaria importanza – aggiunge Serraino – L’incertezza sul futuro ha un impatto negativo sulla qualità di vita e la conferma che un pieno recupero e una guarigione sono possibili ha importanti ricadute su molti aspetti pratici della vita. Apre ai pazienti le porte alla possibilità di un completo reinserimento lavorativo e sociale”.
“Fondazione Aiom ha effettuato uno studio per indagare gli aspetti psicosociali dei pazienti oncologici durante la prima ondata della pandemia, distribuendo un questionario ad aprile e maggio 2020 – evidenzia Stefania Gori, presidente Fondazione Aiom – Hanno risposto circa 500 pazienti. Il 60% ha riferito di essersi sentito molto al sicuro nella propria struttura oncologica. Tuttavia, il 56,5% ha espresso il timore che il proprio personale medico potesse ammalarsi di Covid e ha riferito la paura di interrompere le cure antitumorali. E, proprio a causa della paura, il 34% ha affermato di aver contattato il proprio medico più frequentemente che in passato o di aver annullato le visite con l’oncologo (13%). La maggior parte dei pazienti (88%) ha percepito cambiamenti nella propria vita rispetto al periodo pre-pandemia”.
“Il 93% – riporta ancora Gori – ha inoltre riferito di sentirsi ‘più vulnerabile’ rispetto al Covid a causa della propria malattia. Circa un paziente su 5 ha chiesto aiuto psicologico, uno su 6 ha assunto farmaci psicotropi per l’ansia e più della metà ha fatto ricorso a pratiche di rilassamento per moderare lo stress. Da qui la necessità di garantire una presenza strutturata di psico-oncologi nelle Oncologie, per fornire assistenza ai pazienti, ai familiari e caregiver e al personale sanitario”.
(Fonte: Adnkronos)