Leucemia linfatica cronica,
nuova terapia disponibile in Italia
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato la rimborsabilità di acalabrutinib, una nuova terapia per pazienti con leucemia linfatica cronica sia di nuova diagnosi sia precedentemente trattati. È la più frequente fra le leucemie negli adulti (30% di tutte le diagnosi) nel mondo occidentale: ogni anno in Italia si stimano circa 3.400 nuovi casi. Della patologia e dell’evoluzione nell’approccio terapeutico si è parlato oggi nel corso di una conferenza stampa di AstraZeneca a Milano.
“La leucemia linfatica cronica può avere un impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti, che sono spesso anziani over 70, colpiti anche da altre patologie – spiega Paolo Ghia, direttore del Programma di ricerca strategica sulla Leucemia linfatica cronica all’Irccs ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Oncologia medica all’Università Vita-Salute San Raffaele -. È importante avere a disposizione nuove opzioni terapeutiche come acalabrutinib, in grado di controllare la malattia a lungo termine e di migliorare la qualità di vita. Studi clinici internazionali hanno evidenziato l’elevata efficacia e tollerabilità di acalabrutinib”.
La valutazione di Aifa, infatti, ha preso in esame i risultati degli studi clinici registrativi ‘Elevate Tn’ e ‘Ascend’. I dati del follow up a 4 anni dello studio registrativo di fase III ‘Elevate-Tn’, condotto su 535 pazienti di nuova diagnosi, dimostrano che acalabrutinib riduce di oltre l’80% il rischio di progressione della malattia o morte rispetto alla chemio-immunoterapia standard. Nello studio registrativo di fase III ‘Ascend’, condotto su 310 pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata o refrattaria, acalabrutinib riduce il rischio di progressione della malattia o morte del 69% rispetto al braccio di controllo.
“L’efficacia di acalabrutinib è stata dimostrata in termini di sopravvivenza libera da progressione in tutti i sottogruppi di pazienti, anche in quelli con le caratteristiche genetiche più sfavorevoli”, continua Ghia, che è Principal investigator negli studi ‘Elevate Tn’ e ‘Ascend’ al San Raffaele di Milano. “Inoltre la migliore tollerabilità di acalabrutinib consente di mantenere il paziente in terapia a lungo termine e controllare al meglio la malattia. Questo risultato viene evidenziato in particolare da un altro studio, di confronto con l’attuale terapia disponibile ibrutinib, condotto su 533 pazienti con leucemia linfatica cronica recidivati refrattari ad alto rischio. Acalabrutinib ha dimostrato di avere pari efficacia, a fronte di un’incidenza inferiore di molti eventi avversi correlati a questa classe di farmaci, tra cui la fibrillazione atriale (9,4% con acalabrutinib rispetto al 16% con ibrutinib). La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca che aumenta il rischio di morte secondaria a ictus e complicanze cardiache, particolarmente pericolose in pazienti fragili affetti da leucemia linfatica cronica”.
“Acalabrutinib appartiene alla classe degli inibitori di Btk, che ha rivoluzionato il trattamento della leucemia linfatica cronica – afferma Antonio Cuneo, direttore Unità operativa Ematologia, Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara -. In questi anni, grazie alle nuove terapie, è migliorata la sopravvivenza in tutti i pazienti, e questo risultato è particolarmente evidente in quelli che presentano lesioni genetiche sfavorevoli, che li rendono poco responsivi alla chemio-immunoterapia standard. La leucemia linfatica cronica spesso viene diagnosticata in seguito ai risultati di esami del sangue di routine o eseguiti per altre ragioni, perché ad esempio si notano linfonodi ingrossati nel collo, nelle ascelle o all’inguine. La conta dei globuli bianchi può essere elevata, anche in assenza di sintomi specifici”.
“Siamo di fronte a una patologia molto eterogenea e molti pazienti presentano una malattia non attiva, senza sintomi, che consente di condurre una vita assolutamente normale. Solo in una minoranza dei casi, è necessario un intervento terapeutico immediato. Nei pazienti asintomatici allo stadio iniziale – sottolinea Cuneo -, non viene messa in atto una terapia farmacologica, ma il cosiddetto approccio ‘watch and wait’, cioè ‘osserva e attendi’, caratterizzato da attento monitoraggio dei parametri clinici e laboratoristici, finché la malattia non diviene sintomatica o progredisce. Solo in questo caso si procede all’avvio della terapia farmacologica. Con l’insorgenza dei sintomi, inoltre, la malattia può causare un impatto negativo sulla qualità di vita. Altri aspetti da considerare, oltre alla sintomatologia, sono le conseguenze emotive, sociali e funzionali del convivere con una patologia cronica. Inoltre, l’età dei pazienti alla diagnosi è circa di 70 anni, la leucemia linfatica cronica si inserisce quindi in un quadro clinico dove è probabile che siano già presenti altri problemi di salute. Da qui l’importanza dell’approvazione di acalabrutinib, che può cambiare lo standard di cura grazie a un meccanismo d’azione potente e altamente selettivo”.
La via di somministrazione orale di questa classe di farmaci riduce anche la frequenza di accessi in ospedale rispetto alla tradizionale chemio-immunoterapia, vantaggio non trascurabile soprattutto nei periodi di maggior diffusione dell’infezione da Covid-19.
“Siamo orgogliosi che, a seguito delle valutazioni di Aifa, la ricerca AstraZeneca metta a disposizione della comunità scientifica e quindi dei pazienti una nuova opzione terapeutica per combattere la leucemia linfatica cronica”, conclude Paola Morosini, Medical affairs head oncology AstraZeneca. “Lavoriamo ogni giorno per rendere disponibili trattamenti sempre più mirati, efficaci e con il miglior profilo di tollerabilità possibile. La qualità di vita di chi combatte con la malattia è una priorità per la ricerca AstraZeneca. Acalabrutinib è una molecola di nuova generazione, che nasce da anni di ricerca. Il nostro ampio programma di sviluppo comprende oltre 25 studi clinici riguardanti monoterapie e terapie di combinazione su diverse forme di tumori ematologici delle cellule B. Il nostro obiettivo – conclude – è contribuire a migliorare il percorso di cura di pazienti affetti da neoplasie ematologiche, divenendo punto di riferimento in quest’area terapeutica”.
(Fonte: Adnkronos)