Nuovi farmaci

Mieloma multiplo, in Italia terapia
che triplica possibilità di remissione

di oggisalute | 7 novembre 2016 | pubblicato in Attualità
amgen_mieloma

Una sola missione: sabotare la centrale in cui le cellule tumorali smaltiscono le tante ‘proteine-spazzatura’ prodotte. Un obiettivo strategico, perché se il ‘tritarifiuti’ va in tilt il destino è segnato: i prodotti tossici si accumulano, ingolfando la cellula maligna fino alla distruzione. È la strategia ‘da 007’ messa in campo in maniera ancora più efficace da una nuova arma contro il mieloma multiplo: carfilzomib, primo inibitore irreversibile del proteasoma di seconda generazione, sviluppato da Amgen e ora disponibile anche in Italia, in regime di rimborsabilità, in associazione a lenalidomide e a desametasone nel trattamento dei pazienti adulti con mieloma multiplo già sottoposti ad almeno una precedente terapia.

Questo tumore del sangue, la cui incidenza maggiore si rileva tra gli over 65, ha un copione ricorrente: i pazienti si ammalano e vedono crollare la loro qualità di vita, dopo la terapia vanno in remissione, ma poi ricadono. “Carfilzomib contribuisce al miglioramento delle loro prospettive dopo il ritorno della malattia – spiega oggi durante un incontro a Milano Mario Boccadoro, direttore di Clinica ematologica I, università degli Studi di Torino – Se esaminiamo i dati dello studio prospettico randomizzato di fase III Aspire, l’87% dei pazienti risponde alla terapia ma nel 31% si ottiene la remissione completa”.

Secondo lo studio, che ha confrontato la combinazione carfilzomib-lenalidomide-desametasone con quella standard lenalidomide-desametasone in pazienti con mieloma multiplo ricaduto dopo 1-3 precedenti linee di terapia, “le probabilità di ottenere una remissione completa aumentano di circa 3 volte, da 9,3% a 31,8%”, sottolineano gli esperti che si sono confrontati sulla novità terapeutica al Museo nazionale della Scienza e della tecnologia ‘Leonardo da Vinci’ e citano fra i risultati ottenuti dal farmaco “la profondità di risposta al trattamento senza precedenti, il prolungamento della sopravvivenza libera da progressione fino a oltre due anni e il miglioramento della qualità di vita”.

Tutto ruota intorno al proteasoma, “una sorta di caffettiera con in mezzo delle lame dove le cellule fanno finire le proteine difettose per triturarle ed eliminarle”, approfondisce Boccadoro. La sua scoperta ha fruttato premi Nobel agli scienziati che si sono dedicati a questo filone di ricerca (l’ultimo, per la Medicina, assegnato nel 2016 al giapponese Yoshinori Oshumi per aver svelato i segreti dell’autofagia) “ed è importante perché le cellule tumorali, che producono quantità maggiori di proteine ‘mal fatte’ rispetto a quelle normali, hanno bisogno di un sistema di smaltimento efficiente. Bloccarlo le condanna a morte”.

Così “gli inibitori del proteasoma – prosegue lo specialista – hanno cambiato la prognosi dei pazienti con mieloma multiplo, e ora la seconda generazione mostra un’efficacia nettamente superiore, per la capacità di legarsi in maniera irreversibile, e una tossicità nettamente inferiore”, visto che l’attività di inibizione è duratura e selettiva. “Con un’attività minima al di fuori del target”, sottolineano gli esperti. L’impatto di questa malattia – un tumore del midollo osseo causato dalla moltiplicazione incontrollata delle plasmacellule, globuli bianchi che normalmente hanno la funzione di combattere le infezioni producendo anticorpi – è devastante.

“Dà sintomi ossei, lesioni osteolitiche con dolori intensi – elenca Fabrizio Pane, direttore dell’Uo Ematologia e trapianti nell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società italiana di ematologia – Frequente è la comparsa di insufficienza renale, di anemia e forte stanchezza, di suscettibilità alle infezioni”. I pazienti “si sentono precipitare in un buco nero”, fa notare Boccadoro. Lo sperimentano i circa 39 mila europei che ogni anno ricevono una diagnosi di mieloma multiplo (i decessi annui sono circa 24 mila). E l’impatto è destinato a crescere con l’invecchiamento della popolazione.

“Se l’incidenza nei soggetti di età inferiore ai 55 anni è meno di 1 caso per 100 mila per anno – aggiunge Pane – arriva fino a 30 nuovi casi per 100 mila abitanti ogni anno negli over 65. In Italia si stimano circa 5.600 nuovi casi l’anno, e abbiamo oggi quasi 30 mila pazienti in trattamento o in monitoraggio”.

C’è una correlazione stretta “fra la riduzione della massa tumorale e la sopravvivenza dei pazienti – aggiunge Boccadoro – Ma valutare la loro qualità di vita è estremamente complesso. Due studi pubblicati su ‘Journal Clinical Oncology’ e ‘Lancet Oncology’ hanno dimostrato che carfilzomib, che si somministra per via endovenosa a giorni fissi, è in grado di migliorare la qualità di vita dei pazienti rispetto a quelli trattati con la terapia convenzionale di controllo”.

Il farmaco, sottolinea Francesco Di Marco, amministratore delegato di Amgen Italia, “presenta un buon profilo di tollerabilità, con un impatto contenuto in termini di effetti collaterali. L’Italia ha giocato un ruolo importante nel piano di sviluppo clinico di carfilzomib con 54 centri sperimentatori coinvolti. E quasi 200 pazienti hanno potuto beneficiare della terapia in uso compassionevole prima che si fosse concluso l’iter registrativo”. Ma la ricerca non si ferma, assicura l’Ad: “Abbiamo attualmente in pipeline altre 3 promettenti molecole per il trattamento del mieloma multiplo. E contiamo di portare sul mercato italiano a inizio 2017 un piccolo anticorpo bidirezionale della classe ‘Bite’ capace di attirare le cellule T in un bacio mortale alle cellule affette da leucemia linfoblastica acuta”.

(Fonte: Adnkronos)

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