Covid e diabete, l’esperto: “Pazienti spaventati, ma nel tipo 1 meno aggressivo”
Durante il lockdown ha squillato notte e giorno il telefono di Patrizio Tatti, endocrinologo romano, ex presidente della Simdo, la Società italiana metabolismo diabete e obesità. A chiamarlo sono stati tanti pazienti diabetici preoccupati dalla minaccia del virus, chiedendo consigli su come affrontare l’emergenza o presi dal panico al primo sopraggiungere dei sintomi del Covid-19. Lo smartworking ai tempi della pandemia per i medici significa anche questo: rispondere alle telefonate dei propri pazienti, preferendo un approccio diretto solo per i casi più gravi.
“Questo ha creato una situazione inaspettata – spiega l’endocrinologo – perché molti pazienti con diabete di tipo 2 sono anziani e hanno poca confidenza con la tecnologia. Quindi in questo periodo si sono fatti aiutare dai parenti più giovani, nipoti o figli con cui convivevano. Dunque, questo analfabetismo informatico ha in qualche modo contribuito anche a rinsaldare il legame tra le famiglie”. È uno dei risvolti positivi del lockdown, che – dall’altro lato – ha però creato non poche difficoltà per i medici in smartworking. Non potendo avere un contatto diretto, anche visivo, con i pazienti, è stato maggiore lo sforzo per essere compresi.
Pro e contro di un lavoro, quello del medico, che non sarà più lo stesso dopo questa pandemia. “Per fortuna nella nostra struttura non c’è stato un caso di contagio tra i sanitari, ci siamo ben protetti e abbiamo seguito scrupolosamente tutte le misure di sicurezza”, afferma Tatti, che attualmente è direttore del reparto di endocrinologia e diabetologia dell’Istituto Neurotraumatologico Italiano nella sede di Grottaferrata e Veroli. Proprio nel Lazio, il virus ha avuto fortunatamente numeri più contenuti rispetto ad altre regioni italiane: “La nostra è una realtà un po’ particolare – chiarisce il medico – abbiamo minore socialità interpersonale e minima socialità con i cinesi che vivono appartati. Al contrario del Nord Italia, dove la comunità è più ricca, fa più affari e ha più scambi con l’esterno. Da noi nel Lazio sono state colpite soprattutto le residenze sanitarie, e non abbiamo saturato la capacità ricettiva degli ospedali, per cui avevamo i respiratori e il numero di morti non è stato così alto”.
Nonostante il numero di casi non abbia destato timori eccessivi, anche nel Lazio la paura è stata tanta. Soprattutto nei pazienti diabetici, preoccupati per l’equilibrio in certi casi precario della loro salute. Per questo la Simdo, vuole adesso lanciare una campagna nazionale per capire quali siano gli effetti a lungo raggio del virus, anche dal punto di vista psicologico. “Ho tanti pazienti che mi chiamano per le più diverse motivazioni – confessa Tatti – attacchi di panico, paura, terrore per essersi incontrati con qualcuno e timore che sia malato. Sono in ansia perché si sentono più deboli rispetto agli altri, ma in questo caso vanno rassicurati. È giusto chiarire che il virus non è più infettante se si è diabetici. Occorre sempre fare attenzione, ma i diabetici non corrono il rischio di infettarsi più degli altri. Eppure ci sono pazienti diabetici che tuttora non escono di casa, soffrono di attacchi di panico e telefonano più volte al giorno. I più anziani, poi, che ricordano qualcosa della guerra, sono terrorizzati”.
Sotto il profilo scientifico, inoltre, c’è un aspetto su cui i medici si stanno interrogando che riguarda il rapporto tra Covid-19 e diabete. I pazienti di tipo 1, infatti, tendono ad avere meno sintomi rispetto agli altri e in caso di contagio la malattia tende a evolversi in forma meno aggressiva. “All’Ini abbiamo pubblicato anche uno studio su questa particolarità – spiega l’endocrinologo – l’ipotesi è che i diabetici di tipo 1 siano autoimmuni, ovvero le loro cellule, quelle che si usano per combattere il virus, se da un lato si sono rivolte contro quelle del pancreas, distruggendole e privandole dell’insulina per loro vitale, dall’altro, lo stesso atteggiamento aggressivo è molto efficace contro il Covid-19”.
Così, mentre il virus sembra in parte aver dato una tregua, le attenzioni adesso sono tutte rivolte alle prossime settimane, quando si vedranno gli effetti delle riaperture della Fase 3. “Se ci saranno ancora casi tra la popolazione, il virus ritornerà pesantemente perché la gente non rispetta le regole. Dove i malati non ci sono e dove l’infezione non si contagia, probabilmente non tornerà. Il virus – spiega Tatti – è solo un messaggio, un codice segreto di cui non sappiamo molto, custodito in una pallina di grasso come un messaggio in una bottiglia. Quando penetra nell’uomo trasmette questo codice al nostro dna e lo fa lavorare per lui”.
“In realtà il virus esiste perché c’è l’uomo che lo ospita, poi si ingaggia una battaglia fra il nostro sistema immunitario e i prodotti di questo codice segreto. In questa battaglia qualcuno di noi vince perché ha un sistema immunitario più forte e distrugge il codice, in altri casi, invece – conclude l’endocrinologo – vince il codice perché riesce a prevalere. Un po’ come un hacker che si insinua nel computer, piazza un virus all’interno che cambia le funzioni del computer, in questo caso o vince l’antivirus o, nella peggiore delle ipotesi, vince il virus danneggiando il pc irrimediabilmente”.