Il sogno del Nobel ai sanitari italiani
secondo il pioniere della lotta al Covid
La corsa alla candidatura del corpo sanitario italiano al Nobel per la pace del 2021 ha un testimonial d’eccezione. È Luigi Cavanna (nella foto), oncologo piacentino pioniere delle cure a domicilio dei pazienti colpiti dal Covid-19. A proporre l’idea, che sta trovando appoggi trasversali dal mondo delle istituzioni e della sanità, è la Fondazione Gorbaciov di Piacenza, che sta lavorando alla candidatura, recentemente sostenuta anche dall’Assemblea regionale dell’Emilia Romagna, dal Consiglio comunale della città e dall’attivista Lisa Clarke.
“Non sarà facile, ma il progetto sta andando avanti – ha sottolineato Cavanna – . È un vero e proprio work in progress che sta trovando sempre più adesioni nel nostro paese. Entro fine anno sapremo qualcosa di più, intanto la proposta di candidatura sarà presentata certamente, poi cercheremo di capire quali saranno le probabilità di entrare nella rosa di candidati al Nobel”.
A chi osserva che la guerra al Covid non ha confini nazionali, ma sta dando filo da torcere ai sanitari di tutto il mondo, l’oncologo – che tra l’altro fa parte anche Consiglio nazionale del Cipomo, il Collegio italiano dei primari di oncologia – risponde: “In Italia è stato diagnosticato il primo paziente Covid di tutto l’occidente, poi il nostro Paese ha risposto prontamente alla prima ondata, diventando un esempio da seguire in tutto il mondo occidentale. Basterebbero queste motivazioni a sancire il Nobel per il nostro corpo sanitario, che comprende ovviamente, non solo medici e infermieri, ma anche volontari, biologi, psicologi, farmacisti e tante altre figure importantissime”.
Intanto, è stato proprio il medico piacentino, primario di Oncologia dell’ospedale “Guglielmo Da Saliceto” di Piacenza, a diventare pioniere nella lotta la virus. Durante il lockdown, infatti, l’oncologo è entrato nelle case di centinaia di pazienti affetti dal Covid, facendosi promotore delle cure domiciliari, per arginare il sovraffollamento degli ospedali. “Il Covid è un’infezione virale estremamente contagiosa, dunque – riflette l’oncologo – quello che non capisco è come mai una malattia del genere debba ricevere una risposta quasi esclusivamente di tipo ospedaliero. Serve un’inversione di tendenza anche da parte delle istituzioni, se per i pazienti che presentano sintomi moderati si intervenisse preventivamente a domicilio, somministrando quei farmaci che si sono rivelati utili contro il Covid, potremmo curare tantissimi pazienti senza farli uscire da casa”.
“Spesso i pazienti arrivano in ospedale già in fase tardiva, con febbre da diversi giorni, e in più – osserva ancora Cavanna – non ci sarà posto per tutti quei pazienti che, al contrario hanno bisogno davvero di cure in ospedale, come chi deve sottoporsi a un intervento chirurgico di tipo oncologico, ad esempio, ma anche per chi soffre di patologie cardiovascolari. Parliamo di cure a casa, non solo di rianimazioni e di terapie intensive, che spesso hanno un esito non favorevole. Dunque, le istituzioni e chi prende le decisioni, dovrebbero pensare di mandare i medici a casa dei pazienti, non solo per visitarli, ma per sottoporli a terapie specifiche”.
Esperienze questa che Cavanna ha fatto durante la prima fase acuta della pandemia in Italia, curando centinaia di persone. “Io ho assistito circa trecento pazienti con Covid accertato o sospetto, – spiega Cavanna – di questi una buona percentuale aveva una forma moderata di Covid che oggi prevede il ricovero in ospedale. Questi pazienti, invece, sono stati curati a casa, poi monitorati in remoto dall’ospedale, telefonando più volte al giorno, e soltanto meno del 5 per cento hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero. Ma la cosa importante è che non è morto nessuno di loro, adesso stanno bene e sono guariti. Dunque, pazienti anche con sintomi moderati, più sono deospedalizzati, meglio è. È una scelta importante soprattutto per tutelare tutti quelli che soffrono di altre patologie, altrettanto gravi”.