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Cnr: ecco come i geni si adattano,
anche quelli del Covid

di oggisalute | 1 luglio 2021 | pubblicato in Attualità
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Il punto sulla capacità di adattamento dei geni dei diversi organismi, compreso il coronavirus Sars-CoV-2. E’ il tema di un’edizione speciale del ‘Journal of Evolutionary Biology’, che raccoglie sintetizza i risultati degli studi in questo settore. I progressi nelle tecniche di sequenziamento e analisi dell’intero genoma negli ultimi anni, infatti, hanno coinvolto tra gli altri lo studio dell’adattamento evolutivo, cioè il processo con cui l’evoluzione produce organismi ben adattati, per esempio alle condizioni ambientali in cui vivono. Carmelo Fruciano dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), Paolo Franchini dell’University of Konstanz in Germania e Julia Jones dell’University College Dublin in Irlanda hanno curato come guest editor il numero monogradico della rivista.

“Nel nostro articolo abbiamo affrontato grandi domande in attesa di risposte, come per esempio se geni raggruppati in porzioni relativamente ridotte del genoma facilitino l’adattamento, o se invece i geni che sono responsabili dell’adattamento siano localizzati in tutto il genoma senza particolari raggruppamenti”, spiega Fruciano.

L’edizione speciale contiene l’articolo dei curatori e 9 contributi di autori provenienti da una trentina fra università ed enti di ricerca di tutto il mondo. Due di questi si focalizzano sul parallelismo: l’adattamento a uno stesso ambiente di due o più popolazioni della stessa specie, per esempio, è dovuto agli stessi geni o a geni diversi? “Un articolo sui salmoni del nord-est Europa e uno su delle formiche della Guyana Francese mostrano un limitato parallelismo”, racconta il ricercatore Cnr-Irbim. “Ovvero, differenti popolazioni che si adattano ad ambienti simili, ad esempio dal punto di vista climatico, utilizzano in larga parte geni localizzati in differenti regioni del genoma. Un risultato finale analogo può quindi essere ottenuto usando geni diversi”.

Un gruppo di ricercatori indiani ha irradiato con raggi Uv Escherichia coli, un batterio comune presente anche nell’intestino umano, dall’alto tasso riproduttivo, di modo che sviluppassero gradualmente una resistenza ai raggi stessi e hanno verificato che i geni che mutavano erano diversi a seconda della fase dello sviluppo del batterio scelta per il trattamento.

“Un gruppo canadese ha studiato l’evoluzione di alcuni coronavirus, incluso il Sars-CoV-2, osservando come il numero di posizioni (chiamate siti) in rapido cambiamento funzionale nelle sequenze genetiche, dopo il salto di specie verso l’uomo, tenda a diminuire con gli anni”, prosegue Fruciano. “Questo suggerisce che, non appena colonizzata una nuova specie, i coronavirus si diversificano rapidamente in tante direzioni producendo diverse varianti, ma con il tempo la selezione naturale tende a favorire un numero più ridotto tra tutte queste ‘strade’ esplorate dal processo evolutivo”.

“Sta diventando sempre più chiaro – commenta il ricercatore Cnr-Irbim – come per adattarsi rapidamente a nuove condizioni spesso sia evolutivamente più facile cambiare quante copie di una proteina vengano prodotte, piuttosto che la sequenza della proteina stessa. Uno studio scozzese ha identificato i metodi più performanti per individuare quali geni e regioni del genoma sono più influenzati dalla selezione naturale. Un gruppo giapponese passa invece in rassegna le conoscenze riguardo un insieme di geni chiamati opsine nei pesci non ossei, tra cui squali, razze e lamprede: ogni specie vede in maniera diversa a seconda della combinazione di opsine che possiede”, conclude Fruciano.

(Fonte: Adnkronos)

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