Una dieta ricca di fibre può migliorare
la risposta all’immunoterapia
Una dieta ricca di fibre può migliorare la risposta del tumore all’immunoterapia, grazie ai suoi effetti benefici sul microbiota intestinale. Lo conferma un nuovo studio pubblicato su ‘Science’, a cui ha contribuito l’Istituto europeo di oncologia di Milano.
Il team di ricercatori, guidato dal Md Anderson Cancer Center di Houston, Texas, ha esaminato retrospettivamente i dati di un gruppo di 438 pazienti che hanno ricevuto immunoterapia per melanoma metastatico, studiando la composizione del loro microbiota e le caratteristiche clinico-patologiche. A chi è entrato nello studio, all’inizio del trattamento è stato chiesto di compilare un questionario sugli stili di vita e le abitudini alimentari. In 293 pazienti è stato possibile valutare radiologicamente la risposta terapeutica all’immunoterapia e in 193 la riposta è stata positiva. Nell’ambito di questo sottogruppo di ‘responders’, è emerso che i 128 che assumevano una quantità maggiore di fibre con la dieta sono quelli che hanno risposto meglio alla cura.
“Sappiamo che il microbiota intestinale, vale a dire l’insieme dei microorganismi che popolano il tratto gastrointestinale – spiega Luigi Nezi, direttore dell’Unità Microbiome and Antitumor Immunity dell’Ieo, tra gli autori del lavoro – influisce sull’attività del sistema immunitario ed è in parte dimostrato che, proprio per questa sua funzione ‘immunomodulante’, gioca un ruolo nella risposta dell’organismo alle cure oncologiche, in particolare all’immunoterapia. Tuttavia, ancora non conosciamo tutti i dettagli di come questo avvenga. Il nostro studio ha offerto delle prime risposte. Sappiamo – ricorda – che la composizione del microbiota, oltre che a fattori genetici, è legata allo stile di vita dell’individuo ed è influenzata da molteplici fattori esterni come stress, attività fisica e dieta. Noi ci siamo concentrati su quest’ultima, focalizzandoci sull’assunzione di fibre che sappiamo essere regolatori essenziali della flora intestinale. Dall’analisi dei dati clinici è emerso un forte legame tra risposta terapeutica e contenuto di fibre nella dieta, a suggerire che i pazienti che assumono un quantitativo più alto di fibre traggano maggiore beneficio dall’immunoterapia”.
“Per stabilire se ci fosse una relazione di causa-effetto – prosegue Nezi – è stata modulata sperimentalmente l’assunzione di fibre in modelli preclinici e, analogamente a quanto osservato nei pazienti, si è avuta conferma che il gruppo al quale veniva fornita una dieta ad alto contenuto di fibre rispondeva significativamente meglio all’immunoterapia rispetto al gruppo di controllo. E’ importante sottolineare – rimarca l’esperto – come la migliore risposta clinica sia stata accompagnata da un cambiamento della composizione e della struttura del microbiota intestinale, che acquisisce tratti simili a quelli osservati nei pazienti abituati ad una dieta ricche di fibre”.
Un altro punto da evidenziare secondo gli scienziati riguarda l’utilizzo di probiotici come supporto all’immunoterapia anticancro. I risultati pubblicati su Science mostrano infatti come l’effetto dell’assunzione di probiotici non sia necessariamente associato a una migliore risposta terapeutica, anzi. “La caratteristica del microbiota intestinale forse più strettamente legata ad una migliore risposta all’immunoterapia – precisa Nezi – è la diversità, che influenza sia la sua capacità di istruire il nostro sistema immunitario che di complementare le attività metaboliche di cui il nostro organismo necessita per mantenere uno stato di salute ottimale. In modo un po’ provocatorio, ci siamo dunque chiesti se l’assunzione di generici supplementi probiotici non potesse turbare l’equilibrio dinamico dell’ecosistema intestinale e, in ultima istanza, compromettere la risposta all’immunoterapia. Come per le fibre, anche in questo caso i dati clinici raccolti dai pazienti hanno confermato la nostra ipotesi. Inoltre, il fatto che l’aggiunta di alcune formulazioni probiotiche non fosse in grado di migliorare la risposta all’immunoterapia neppure nel modello animale ci ha indotto ad una profonda riflessione”.
Una delle conclusioni più importanti dell’intero studio, evidenziano gli autori, è che il microbiota intestinale contribuisce all’unicità di ciascuno di noi e che questa unicità deve essere presa in considerazione anche durante la terapia anticancro. “Dobbiamo considerare il microbiota intestinale come un’estensione del nostro corredo genetico e del nostro stato metabolico – chiarisce Nezi – Così come abbiamo lavorato per anni per trovare gli agenti terapeutici più appropriati per specifiche mutazioni associate ai tumori, anche la modulazione del microbiota a scopo terapeutico deve essere preceduta da un’analisi molto accurata delle sue caratteristiche”.
“Gli studi che stiamo attualmente conducendo – conclude lo scienziato – nel mio come in tanti altri laboratori nel mondo, mirano proprio ad approfondire queste conoscenze. Sono sforzi enormi, che richiedono la collaborazione sia dei pazienti che aderiscono ai nostri studi che di team multidisciplinari di ricercatori. In questo campo, Ieo sta lavorando per diventare un centro di riferimento”.
(Fonte: Adnkronos)