Tumore al collo dell’utero, esame Hpv e Pap test a confronto
La prevenzione prima di tutto, ma esistono vari strumenti di diagnosi e non tutti hanno la stessa efficienza. Oggi parliamo di tumore al collo dell’utero e dei due screening in uso. L’esame più noto è il Pap test: per nulla doloroso, che arreca tuttavia un po’ di fastidio nella donna, perché consiste nel prelievo di materiale biologico dall’apertura dell’utero attraverso una piccola spatolina. Anche l’altro esame, il test Hpv (o dna Pap), avviene con le stesse modalità, quello che cambia è il momento dell’analisi in laboratorio.
Se il primo riscontra la presenza di eventuali lesioni al collo dell’utero che potrebbero essere il segnale di un inizio di forma tumorale a opera del Pailloma virus (hpv), il secondo va oltre, riscontrando la presenza del virus anche in stato latente, senza cioè avere arrecato alterazioni cellulari.
Lo screening con test Hpv permetterebbe di ridurre del 60-70 per cento l’incidenza dei tumori invasivi del collo dell’utero rispetto a quello con Pap test, almeno stando ai risultati di uno studio condotto da un’équipe internazionale di ricercatori italiani, svedesi, inglesi e olandesi, coordinata dal torinese Guglielmo Ronco, del Centro di riferimento per l’epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte (Città della salute e della scienza di Torino) e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet“.
Lo studio si è basato su 175 mila donne dei quattro Paesi coinvolti, da cui è emerso che il test Hpv ha avuto un esito migliore sulla prevenzione: le donne che vi si sono sottoposte si sono ammalate meno rispetto a quelle sottoposte a Pap test. “Già era stata dimostrata la maggiore capacità del test Hpv, rispetto al Pap test, di individuare quelle lesioni che non sono ancora un tumore ma che potrebbero diventarlo. Oggi si è potuto verificare direttamente che questo si traduce in una riduzione dei casi di tumore“, ha commentato Ronco.
In realtà andrebbero fatte delle precisazioni. Se il test dna Pap, individuando ceppi di dna del virus anche allo stato latente, consente una diagnosi molto precoce, va anche detto che il Papilloma non evolve necessariamente in tumore, anzi, in genere, il virus è sconfitto sotto i trent’anni di età grazie alle proprie difese immunitarie. Secondo l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), come si legge sul sito, “il test Hpv è più sensibile del Pap test, più efficace nel rilevare le lesioni che potrebbero evolvere in tumori, tuttavia è meno specifico, vale a dire che identifica anche infezioni che potrebbero regredire spontaneamente“.
Il consiglio che ne consegue è far seguire a un eventuale Hpv positivo, un esame cosiddetto di triage, ovvero il Pap test, che confermi la reale positività. “La positività al test Hpv – si legge ancora sul sito – non significa necessariamente presenza di tumore, inoltre il test Hpv deve essere eseguito a intervalli più lunghi (almeno cinque anni) rispetto ai tre anni previsti per il Pap test, infine il test Hpv per la diagnosi precoce del cancro del collo dell’utero non deve essere impiegato prima dei 30-35 anni, poiché prima di questa età le infezioni da Hpv sono molto frequenti ma regrediscono spontaneamente e non evolvono quasi mai in tumore“.
I due esami, dunque, non sono intercambiabili. Lo screening incrociato consente una prevenzione con margini di errore davvero bassissimi, ma il punto è a quale dei due dare prevalenza. Per ragioni di economicità, si procede di norma con il Pap test ogni tre anni e, in caso di riscontro di lesioni al collo dell’utero, con il test Hpv per vedere se queste siano dovute al papilloma virus e quindi possano degenerare in tumore.
L’altra strada è quella inversa, ovvero, superati i 30 anni, effettuare ogni cinque anni il test Hpv e, qualora si riscontri la presenza del dna del Papilloma, procedere a Pap test per evidenziare se questo abbia prodotto eventualmente lesioni o alterazioni cellulari. Questa è la strada suggerita dal recente studio, che ha permesso di definire i metodi ottimali di screening (intervalli, età di utilizzo, approfondimenti per le donne positive al test) così da poter adottare strategie che evitino esami e trattamenti inutili senza ridurre i livelli di protezione. In particolare i risultati mostrano che l’aumento della protezione interessa soprattutto le donne di età compresa tra i 30 ed i 35 anni e che lo screening con test Hpv ogni cinque anni è più protettivo dello screening con Pap test ogni tre.
Quanto alla maggiore economicità, come si legge nel commento all’articolo da parte di Sandra Isidean e Eduardo Franco della McGill University di Montreal (Canada), “è estremamente probabile che il futuro dello screening cervicale, nei Paesi sviluppati, preveda il test Hpv come primario. Con le economie di scala e l’allungamento degli intervalli tra un test e il successivo – si legge ancora – lo screening risulterà essere meno costoso per il sistema sanitario, procurando al contempo una maggiore sicurezza e protezione rispetto alla citologia convenzionale”.
E questa è proprio la strada adottata dalla Regione Piemonte, che ha stabilito il passaggio al test Hpv come esame primario per il programma regionale di screening “Prevenzione Serena” per le donne di età compresa fra i 30 e i 64 anni. La delibera della giunta regionale prevede tale passaggio nell’arco dei prossimi cinque anni, per consentire al sistema di riorganizzarsi. Quanto alle donne tra i 25 e i 29 anni, essendo che il test Hpv rileverebbe molte lesioni destinate a regredire spontaneamente, si continuerà con screening con Pap test.
Il programma è coordinato dal Cpo Piemonte della Città della salute e della scienza di Torino, che ha coordinato la ricerca, e adotta le strategie di screening che lo studio ha dimostrato essere le migliori. Il programma di screening inviterà sempre meno donne a fare il Pap test e sempre più donne a fare il test Hpv, fino a che tutte saranno passate a questo. Per ragioni di equità, si utilizzerà un criterio casuale di invito per suddividere le donne tra chi farà il test Hpv subito e chi lo farà successivamente.
In sintesi è bene ribadire che il Papilloma è un virus molto comune, esistono vari ceppi e non tutti portano a forme tumorali, inoltre, sotto i 30 anni, i sistemi immunitari delle donne tendono a sconfiggerlo da sé. Il cancro del collo dell’utero è una malattia sempre più rara, soprattutto grazie alle forme di screening e prevenzione in atto su larga scala a cui è bene sottoporsi periodicamente, in ogni caso, se le anomalie vengono riscontrate precocemente, il trattamento ha successo nella totalità dei casi.